Le riforme di Xi Jinping
Il gruppo dirigente del Partito Comunista ha annunciato cambiamenti economici e sociali molto impegnativi, come l'allentamento della politica del figlio unico
Martedì 12 novembre si è conclusa la terza riunione del comitato centrale del Partito Comunista Cinese (PCC), il cosiddetto “plenum”, formato dal gruppo dirigente comunista della Cina. Il plenum era molto atteso, perché per la prima volta dai tempi delle grandi riforme di Deng Xiaoping – che nel 1984 privatizzò parte delle industrie statali – ci si aspettava un piano di significative liberalizzazioni dell’economia cinese. Una sintesi efficace delle riforme proposte è stata fatta da Deng Yuwen, un commentatore politico cinese che in passato ha lavorato per un giornale di partito. Deng ha detto: «La Cina probabilmente attuerà delle liberalizzazioni nella sua economia, ma rimarrà abbastanza conservatrice nell’ambito politico – non immutabile, ma conservatrice». Una bozza del piano di riforme è stata diffusa venerdì dal governo cinese, e riguarda molte riforme e un sostanziale accentramento di poteri nelle mani di Xi Jinping.
Il nuovo gruppo dirigente del PCC che supervisionerà l’applicazione delle riforme economiche ha detto che i primi risultati importanti saranno visibili dal 2020. Nei piani della dirigenza comunista c’è l’obiettivo di superare alcuni dei problemi nati nel decennio precedente, sotto la presidenza di Hu Jintao: tra questi ci sono il problema dell’inquinamento, dell’altissimo debito pubblico degli enti locali e dell’eccessiva dipendenza della crescita economica dalla confisca dei terreni da parte dello stato. Altre importanti riforme previste riguardano l’allentamento della politica cinese del figlio unico, la chiusura dei campi di lavoro, e l’eliminazione “passo dopo passo” della pena di morte. In tutti questi campi, il lungo documento del plenum ha fatto affermazioni molto impegnative – riportate dagli organi ufficiali di stampa cinesi – ma non ha stabilito date precise per quando saranno messe in opera.
Le riforme economiche
Una delle linee di riforma più importanti uscite dal plenum riguarda l’economia: dopo un decennio in cui il potere statale è decisamente aumentato, nei prossimi dieci anni l’economia cinese sarà invece orientata verso una progressiva apertura del mercato. Nel comunicato diffuso martedì dall’agenzia di stampa ufficiale Xinhua si legge:
«Dobbiamo stabilire regole di mercato eque, aperte e trasparenti. La questione centrale è la gestione corretta del rapporto tra governo e mercati, dando ai mercati un ruolo decisivo nella distribuzione delle risorse e garantendo un’applicazione migliore del ruolo del governo.»
Lo stesso comunicato chiarisce però che non si vuole eliminare il ruolo dello stato e del partito nel sistema economico cinese, come tra l’altro dimostra l’insufficiente proposta di riforma del sistema delle grandi aziende di stato cinesi: si tratta piuttosto di allentarne il controllo, per ridare slancio all’economia cinese che quest’anno dovrebbe crescere “solo” del 7,5 per cento, il tasso più basso registrato negli ultimi 23 anni. In altre parole, si tratta di mettere in moto un sistema moderno per le aziende di stato e di sostenere allo stesso tempo le imprese private.
Le aperture economiche non sembrano poter essere accompagnate da altrettante aperture politiche. Negli ultimi mesi il conservatorismo nella politica cinese si è visto soprattutto su due fronti: il controllo sempre più aggressivo nei confronti dei microblogger e le posizioni dure e intransigenti assunte dal governo su alcune dispute territoriali con Giappone, Vietnam e Filippine.
La politica del figlio unico
L’agenzia di stampa statale Xinhua ha scritto che «la Cina allenterà la sua decennale politica demografica del figlio unico, permettendo alle coppie di avere due figli se uno dei due genitori è un figlio unico. […] La politica demografica sarà aggiustata e migliorata passo dopo passo per promuovere lo “sviluppo bilanciato e a lungo termine della popolazione”», come dice il documento, e avrà l’obbiettivo di mantenere “stabile” il numero dei cinesi intorno a 1,5 miliardi di persone.
Si tratta certamente di una decisione molto importante. Dalla fine degli anni Settanta, la politica del figlio unico è stata imposta per controllare il rapido aumento della popolazione, permettendo a gran parte delle coppie dei centri urbani di avere un solo figlio e nelle campagne di avere due figli per coppia, se il primo è femmina. Ma questa politica demografica è diventata sempre più impopolare e il progressivo invecchiamento della popolazione rischia di avere conseguenze importanti tra qualche decennio, sia per quanto riguarda le dimensioni della forza lavoro che per quanto riguarda le spese sanitarie. Diverse modifiche sono già state testate a livello locale, ma il documento parla per la prima volta di estenderle a tutta la Cina.
I campi di lavoro
All’inizio dell’anno, il Partito Comunista aveva annunciato e poi frettolosamente ritirato l’abolizione dei campi per la “rieducazione attraverso il lavoro”, che esistono dagli anni Cinquanta e che hanno permesso alla polizia di imprigionare le persone senza che ci fosse alcun processo. Il dibattito sull’abolizione va avanti dagli anni Ottanta, ma con venerdì il documento ufficiale ha parlato esplicitamente di “abolizione”, che non sarà immediata, ma passerà attraverso alcuni altri passaggi legislativi.
I poteri del presidente
Francesco Sisci, uno degli esperti di cultura cinese più bravi e preparati in Italia, ha spiegato su Limes perché si può dire che il plenum abbia favorito un accentramento dei poteri nelle mani del presidente Xi Jinping. Il plenum, ha scritto Sisci, ha creato due organismi che non erano presenti nella vecchia struttura del partito, entrambi di fatto presieduti da Xi: il primo è il “gruppo di testa”, responsabile di ideare e attuare le riforme – un’importante novità se si considera che il più grande processo di riforme della storia della Cina, quello avviato 35 anni fa da Deng Xiaoping, non aveva né una organizzazione né degli obiettivi particolarmente chiari. Il secondo organismo si occuperà di sicurezza nazionale, con responsabilità sia interne che esterne, e prenderà ispirazione dal National Security Council statunitense. E poi, aggiunge Sisci, c’è il linguaggio usato nel comunicato diffuso alla fine del plenum:
«Xi è l’unico leader vivente a essere nominato; oltre a lui vengono citati solo Mao e Deng – rispettivamente, i leader del primo e del secondo trentennio della Repubblica Popolare Cinese. Dei due predecessori di Xi, Jiang Zemin e Hu Jintao, vengono indicate solo le rispettive teorie, quella dei “tre rappresentanti” e quella dello “sviluppo scientifico”.»
Xi Jinping ha assunto la direzione del partito nel novembre dello scorso anno durante il Congresso del PCC, uno dei momenti più importanti della transizione dalla quarta alla quinta generazione di leader comunisti cinesi. Da allora, scrive il New York Times, Xi ha dimostrato di voler governare in modo più autoritario rispetto al suo predecessore, Hu Jintao. Da quando è diventato presidente, Xi si è mosso piuttosto velocemente: in pochi mesi si è assicurato sia il controllo dell’intera struttura di partito, sia dell’apparato delle forze di sicurezza interne e delle agenzie legate all’anticorruzione, come dimostra il caso di Bo Xilai.