Dove è sepolto Erich Priebke
In Italia, in un carcere, con solo un numero sulla croce: lo racconta Ezio Mauro in un lungo articolo su Repubblica
Ezio Mauro, direttore di Repubblica, ha raccontato in un lungo articolo le vicende che hanno portato alla sepoltura “segreta” in un carcere italiano di Erich Priebke, ex ufficiale delle SS naziste, tra i responsabili della strage delle Fosse Ardeatine, morto in Italia lo scorso 11 ottobre. Dopo molte polemiche, e dopo gli scontri tra manifestanti e polizia ai funerali tenuti ad Albano, in provincia di Roma, il corpo di Priebke era stato portato all’aeroporto militare di Pratica di Mare. Alcuni, come il direttore del Centro Wiesenthal di Gerusalemme, avevano chiesto che il corpo venisse cremato e che le ceneri sparse da qualche parte, magari nel Mediterraneo, per evitare che il luogo della sepoltura diventasse una meta di pellegrinaggio.
Non c’è ancora l’erba sulla terra smossa dell’ultima tomba. Terra fresca, scavata col piccone e rigettata nella fossa col badile, in fretta. Erano almeno vent’anni, qualcuno dice trenta, che qui non c’era una nuova sepoltura. Cercare nomi e date sulla pietra delle vecchie tombe è difficile. Quando un cimitero è in disuso, anche se resta consacrato e il cappellano viene a benedire nel giorno dei Morti, tutto degrada in fretta. L’erba cresce selvaggia nel quadrato del piccolo camposanto, le povere lapidi scoloriscono, il legno delle croci s’incurva, la vecchia cappella in centro al recinto bianco e quadrato sembra chiusa da secoli. E quell’unico cipresso, alto e solitario a sudovest ricorda una meridiana che segna solo il tempo passato. Ma c’è un tempo che non passa e viene a compiersi proprio qui. Perché questo è il luogo misterioso della sepoltura di Erich Priebke, capitano delle SS, l’aiutante di Kappler nel massacro delle Fosse Ardeatine, dove i tedeschi hanno giustiziato 335 prigionieri italiani per rappresaglia dopo l’attentato di via Rasella.
Dieci italiani per un tedesco, la misura criminale dell’eccidio. Una tragedia del Novecento che la lunga vita centenaria di Priebke ha tenuto aperta fino ad oggi, per una caparbietà nazista residua e intatta, che ha impedito al capitano, anche prima di morire, di chiedere scusa. Così, inevitabilmente, il caso Priebke dura oltre la morte del soldato, per quel che ha fatto e per come lo ha giudicato, offesa al dolore e alla storia, sfida aperta alla democrazia.
La prova è qui, nell’ultimo atto. Perché questo recinto dov’è sepolto Priebke — preannunciato da una croce di legno smangiato piantata in mezzo alle sterpaglie, come nel west americano — sta chiuso dentro un recinto più grande, con cancelli, riflettori, inferriate e chiavistelli. È il cimitero di un carcere, unico pezzo di terra italiana dove la morte di Priebke può tornare ad essere morte e non simbologia nazista, strumentalizzazione della teppaglia. È insieme la sede di una sepoltura dignitosa, come un Paese civile deve garantire anche al suo nemico più terribile, e la prova di un conflitto irriducibile e permanente, perché la memoria non rinuncia al giudizio su ciò che è accaduto.