Cosa succede a Bangkok
Le foto delle migliaia di persone che protestano da sette giorni consecutivi contro una legge accusata di favorire il fratello del primo ministro
Per il settimo giorno consecutivo a Bangkok, la capitale della Thailandia, migliaia di persone stanno manifestando contro la legge sull’amnistia approvata dalla Camera nella notte tra il 31 ottobre e il primo novembre. Le proteste – colorate, rumorose e per il momento largamente pacifiche – sono organizzate dal principale partito di opposizione del paese, il Partito democratico, che accusa il governo di avere votato l’amnistia solo con il fine di assolvere il politico e imprenditore Thaksin Shinawatra, ex primo ministro e fratello dell’attuale capo del governo Yingluck Shinawatra. Thaksin si trova in esilio volontario all’estero dal 2008, cioè da quando un tribunale thailandese l’ha condannato in contumacia a due anni di carcere per appropriazione indebita.
L’amnistia verrà discussa in Senato lunedì 11 novembre e per passare avrà bisogno di almeno 76 voti su 150 senatori. Il 6 novembre lo speaker del Senato, Nikom Wairatpanij ha spiegato che molto probabilmente la legge verrà bocciata perché contraria agli interessi della nazione. Molti senatori comunque hanno criticato le parole di Wairatpanij, dichiarando che non appoggeranno l’introduzione dell’amnistia. Diversi analisti sono piuttosto cauti sull’esito della votazione in Senato, anche perché le grandi manifestazioni dell’ultima settimana, a cui hanno partecipato migliaia di persone, hanno messo sotto pressione il governo del primo ministro Yingluck Shinawatra.
Thaksin Shinawatra è stato una figura centrale della politica del paese degli ultimi dieci anni: leader del partito populista Thai Rak Thai, fu primo ministro dal 2000 al 2006, quando il suo governo fu interrotto da un colpo di stato organizzato dai generali che si dichiaravano fedeli al re. I seguaci di Thaksin – che hanno scelto di indossare camicie di colore rosso per distinguersi dagli oppositori che erano soliti condurre le loro marce di protesta con indumenti colorati di giallo – subito dopo il colpo di stato occuparono per circa due mesi il centro di Bangkok, accusando il primo ministro di allora Abhisit Vejjajiva di essere salito al potere illegittimamente, grazie a brogli e supporto militare. La crisi politica che ne derivò fu la più grave nella storia recente della Thailandia: provocò 90 morti, 1.900 feriti e decine di arresti.
Da allora le “camicie rosse” tengono molte manifestazioni, numerose quanto quelle che ciclicamente protestano contro il governo e che sono culminate in una serie di scontri molto violenti nel 2010 e nel 2012. Il regno è infatti da anni profondamente diviso tra le élites di Bangkok vicine al re e le masse povere delle campagne e delle città del nord e del nord-est del paese fedeli a Thaksin. Il movimento delle “camicie rosse” viene visto, a seconda dei punti di vista, sia come un baluardo democratico contro il regime aristocratico, sia come un gruppo violento interessato ad acquisire potere. Raccoglie al suo interno fasce diversissime di thailandesi, dalla classe operaia sottopagata alla borghesia che vuole aumentare il proprio potere economico.