L’ultima indagine sulla morte di Arafat
Cosa dice lo studio degli scienziati svizzeri secondo cui c'è "l'83 per cento di possibilità" che l'ex leader dell'OLP sia stato avvelenato
Mercoledì 6 novembre al Jazeera ha pubblicato un nuovo rapporto relativo alle cause della morte di Yasser Arafat, storico leader palestinese, premio Nobel per la Pace ed ex presidente dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). Arafat morì l’11 novembre 2004 in un ospedale francese, a 75 anni. Secondo il rapporto, redatto da alcuni scienziati svizzeri sulla base (anche) di campioni prelevati dal corpo del leader dell’OLP, Arafat morì “probabilmente” per avvelenamento di polonio, la stessa sostanza usata per uccidere nel 2006 dell’ex spia russa Alexander Litvinenko.
Le conclusioni del rapporto sono state riprese dai siti di news di tutto il mondo, perché della vicenda e delle cause della morte di Arafat si discute praticamente da quel novembre 2004. L’intera storia comunque è piuttosto complicata, e si è sviluppata tra test medici compiuti da scienziati di diversi paesi, inchieste giornalistiche e inchieste giudiziarie: BBC l’ha ricostruita passo a passo, da quando Arafat si è ammalato fino a oggi, con la diffusione delle conclusioni degli esperti svizzeri.
Il referto dei medici francesi ottenuto dal New York Times
Nel 2005 il New York Times ottenne una copia del referto medico di Arafat da due giornalisti israeliani, Avi Isacharoff e Amos Harel, che a loro volta l’avevano ricevuto da un funzionario palestinese. Il referto spiegava lo sviluppo della malattia di Arafat dalla sera del 12 ottobre 2004, giorno in cui si ammalò, all’11 novembre 2004, giorno della sua morte.
Arafat cominciò ad accusare i primi sintomi mentre si trovava nel complesso presidenziale di Muqataa a Ramallah, in Cisgiordania. Le forze di sicurezza israeliane lo tenevano isolato da tre giorni, accusandolo di avere appoggiato una serie di attacchi terroristici da parte di militanti palestinesi. Per le successive due settimane Arafat soffrì di dolori addominali, vomito e diarrea. Fu visitato da medici palestinesi, egiziani, giordani e tunisini e fu trattato per l’influenza e la trombocitopenia (o piastrinopenia: si ha una trombocitopenia quando il numero di piastrine è inferiore alla media). Fino al 27 ottobre Arafat non assunse antibiotici. Due giorni dopo fu trasportato con un elicottero in Giordania, e poi con un aereo privato all’ospedale militare Percy a Clamart, fuori Parigi. In Francia gli fu diagnosticata una coagulazione intravascolare disseminata, cioè una grave patologia caratterizzata dalla formazione di diffusi trombi arteriosi. I medici non furono in grado di curarla: Arafat entrò in coma il 3 novembre e morì l’11 novembre.
A partire dai giorni successivi molti funzionari palestinesi accusarono Israele di avere avvelenato Arafat, un’ipotesi più volte negata dagli israeliani. In realtà, dopo diversi ed estesi esami, i medici francesi non riuscirono a scoprire le cause della morte. Le biopsie e le altre analisi mediche effettuate non mostrarono segni di alcun agente infetto, o di cancro, o di droghe particolari: i test effettuati in un laboratorio di Tunisi su campioni di sangue, feci, urine e midollo osseo furono anch’essi negativi. Diversi esperti israeliani e statunitensi sentiti dal New York Times dissero che l’ipotesi di un avvelenamento era altamente improbabile (come era improbabile la morte per AIDS, come qualcuno aveva ipotizzato).
Il documentario di al Jazeera
Il 3 luglio del 2012 arrivò un documentario-inchiesta di al Jazeera, network del Qatar da sempre considerato vicino alla causa palestinese. Dopo nove mesi di indagini, al Jazeera disse che gli scienziati dell’Institute of Radiation Physics dell’Università di Losanna, in Svizzera, avevano trovato tracce “significative” di materiale tossico altamente radioattivo su alcuni effetti personali di Arafat, che erano stati consegnati loro dalla vedova Suha Arafat. Francis Bochud, direttore dell’istituto, spiegò che i test mostravano una «inspiegabile, elevata quantità di polonio-210 sugli effetti personali di Arafat». Per confermare l’ipotesi della morte per avvelenamento, disse Bochud, sarebbe però stato necessario riesumare il cadavere di Arafat.
Suha Arafat chiese all’Autorità Palestinese di autorizzare la riesumazione del cadavere di Arafat e intentò una causa civile in un tribunale di Nanterre, in Francia, per chiarire le circostanze della morte del marito. L’Autorità Palestinese concesse il permesso agli scienziati svizzeri per la riesumazione e le autorità francesi avviarono un’indagine per omicidio nell’agosto 2012. Dal corpo furono prelevati alcuni campioni da esperti svizzeri, francesi e russi. E arriviamo praticamente a oggi.
Le analisi sui campioni prelevati dal corpo di Arafat
Lo scorso mese l’agenzia governativa russa Interfax riportò una dichiarazione del capo dell’istituto forense russo incaricato di analizzare i campioni prelevati dal corpo di Arafat, Vladimir Uiba: secondo Interfax, Uiba aveva dichiarato che dalle analisi dei campioni non era stata trovata alcuna traccia di polonio. Subito dopo, però, l’Agenzia federale medico-biologica russa smentì Interfax, sostenendo che Uiba non aveva mai fatto quelle dichiarazioni. Sul lato dei test eseguiti dagli esperti francesi, invece, i magistrati che si stanno occupando della causa civile intentata dalla vedova di Arafat hanno fatto sapere di non avere ricevuto comunicazioni. In pratica due delle tre indagini avviate dopo la riesumazione del corpo di Arafat al momento sembrano non portare a nessuna conclusione.
Il 6 novembre al Jazeera ha pubblicato il rapporto completo risultante della terza indagine, quella condotta dagli esperti svizzeri del Centro ospedaliero universitario Vaudois, a Losanna. Nel rapporto si legge: «Nuove indagini tossicologiche e radio-tossicologiche sono state eseguite, dimostrando inaspettatamente alti livelli di polonio-210 e piombo-210 in molti dei campioni analizzati». Lo stesso rapporto, tuttavia, individua quattro problemi che rendono solo “probabile” e non “certo” l’avvelenamento di polonio. I problemi sono: la mancanza di campioni biologici adeguati, in parte perché i campioni prelevati durante il ricovero di Arafat in Francia furono distrutti; le ridotte dimensioni dei campioni su cui sono state effettuate le analisi e la difficoltà nell’interpretazione dei risultati; il lungo periodo di tempo intercorso tra la morte di Arafat e le indagini, che ha contribuito a rendere incerti i risultati; e soprattutto una poco chiara successione degli eventi occorsi alla borsa con gli effetti personali di Arafat analizzata nel 2012. Per questo gli scienziati nel rapporto dicono di credere che ci sia “l’83 per cento di possibilità” che Arafat sia stato avvelenato, e si dicono “moderatamente a favore” della tesi per cui l’agente responsabile sia stato il polonio.