La cura per l’epatite C
Negli Stati Uniti sta per essere messa in vendita una nuova generazione di farmaci per curare la malattia che molti non sanno di avere e che non ha ancora un vaccino
Entro fine anno negli Stati Uniti sarà approvato e messo sul mercato un farmaco contenente sofosbuvir, un nuovo principio attivo – sviluppato dall’azienda di biotecnologie Gilead Sciences – che consentirà di semplificare e rendere meno invasive le terapie per trattare e curare l’epatite C. Altri farmaci contro la malattia, che può causare danni gravi e talvolta irreversibili al fegato, saranno messi in commercio nei prossimi due anni portando a una importante svolta nella cura dei casi di epatite C, come spiega un recente articolo del New York Times.
L’epatite C è una malattia infettiva causata da un virus (Hepatitis C virus – HCV) che attacca soprattutto le cellule del fegato, portando seri danni alla ghiandola che ci serve per un sacco di cose, dalla produzione della bile per digerire ciò che mangiamo a conservare il glicogeno, una variante del glucosio e importante riserva energetica. Il virus deteriora le cellule epatiche (in greco antico ἧπαρ, “epar”, significa fegato) portando alla formazione di cicatrici e successivamente alla cirrosi, stadio in cui il fegato diventa fibroso e pieno di piccoli noduli che ne compromettono la funzionalità.
Il processo avviene lentamente e spesso sono necessari anni prima che una persona si renda conto di avere contratto il virus. La trasmissione dell’epatite C avviene principalmente per contatto diretto con il sangue infetto, quindi è comune tra i tossicodipendenti che condividono gli stessi aghi, tra le persone sottoposte a trattamenti sanitari in scarse condizioni igieniche e tra pazienti sottoposti a trasfusioni con sangue che si rivela infetto. La malattia è stata scoperta in tempi relativamente recenti: la sua esistenza fu ipotizzata nel 1970 quando fu definita “epatite non A non B” (altre due forme di epatite già note e per cui esistono vaccini) e la sua esistenza è stata confermata in via definitiva nel 1989.
Si stima che in tutto il mondo ci siano circa 150 milioni di persone infette dal virus dell’epatite C. Buona parte di queste persone non sa però di avere la malattia proprio perché sono di solito necessari molti anni prima che diventino evidenti i suoi effetti. Di solito i medici se ne accorgono perché ricevono pazienti che lamentano dolori o altri sintomi legati a un non corretto funzionamento del fegato. Spesso la malattia decorre senza sintomi, quindi molti non si rendono nemmeno conto di averla avuta.
Finora l’epatite C è stata trattata con terapie invasive, basate principalmente sull’interferone, che stimola la riposta antivirale del nostro organismo, producendo però numerosi e spiacevoli effetti collaterali. L’interferone viene somministrato con iniezioni settimanali per sei mesi e fino a un anno nei casi più complicati. Insieme sono di solito prescritte anche pillole di ribavirina, che impedisce ai virus di riprodursi modificando il meccanismo con cui trasmettono il loro codice genetico.
La combinazione di interferone e ribavirina permette di solito di curare efficacemente circa la metà dei pazienti, che però devono fare i conti con molti effetti collaterali come febbre, insonnia, depressione, anemia ed eruzioni cutanee molto fastidiose. I due farmaci esistono da tempo, ma non sono specifici e mirati perché non sono nati per trattare l’epatite C. I nuovi farmaci in fase di approvazione sono invece mirati e ostacolano il lavoro degli enzimi che il virus usa per moltiplicarsi, con un meccanismo simile a quello delle medicine per tenere sotto controllo il virus (HIV) che causa l’AIDS. Nelle terapie questi medicinali saranno affiancati da altri farmaci per impedire che il virus muti sviluppando una resistenza al principio attivo.
Fortunatamente, a differenza dell’HIV, il virus dell’epatite C non crea riserve latenti nell’organismo infettato che richiedono l’utilizzo di farmaci per tutta la vita per evitare che si riattivi l’infezione. Se non viene rivelata la presenza del virus dell’epatite C nel sangue dopo tre mesi dalla fine del trattamento con i nuovi farmaci il paziente viene considerato guarito, perché non c’è praticamente possibilità che il virus possa tornare. A seconda dei danni subiti durante la malattia, il fegato può recuperare completamente o parte della propria funzionalità grazie alla sua capacità di rigenerarsi. Nei casi più gravi possono rimanere rischi legati allo sviluppo di forme tumorali e di cirrosi a causa dei danni subiti durante l’infezione.
Stando alla ricerche e ai test clinici durante la lunga fase di sviluppo, i nuovi farmaci che stanno per essere messi in vendita si rivelano efficaci in almeno l’80 per cento dei casi, con un trattamento della durata di tre – sei mesi. Gli effetti collaterali rispetto all’interferone sono minori, ma solo dopo i primi anni di utilizzo su larga scala e la loro combinazione con altri medicinali si potrà avere un quadro più completo e affidabile.
Il farmaco con sofosbuvir di Gilead Sciences sarà approvato dalla Food and Drug Administration entro la prima settimana di dicembre, e sarà quindi tra i primi a uscire sul mercato. Funziona bloccando il meccanismo che consente al virus dell’epatite C di moltiplicarsi a livello genetico. Somministrando pillole di sofosbuvir insieme con ribavirina è possibile trattare i pazienti affetti da epatite C con genotipo 2 e 3, due delle molte varianti genetiche del virus. Si tratta del primo trattamento per epatite C basato interamente sull’assunzione di farmaci per via orale, senza la necessità di sottoporsi a iniezioni settimanali.
Le cose resteranno più complesse ancora per qualche tempo per chi è affetto da epatite C con genotipo 1 (in Italia il genotipo 1b è il più diffuso). Per curarla saranno necessari interferone e ribavirina, cui sarà affiancato il sofosbuvir: la combinazione con il nuovo farmaco consente di ridurre la durata della terapia a solo tre mesi e ha dato risultati importanti nei test clinici. Entro la fine del prossimo anno dovrebbe comunque essere approvato, sempre negli Stati Uniti, un trattamento per il genotipo 1 che prevede la sola somministrazione dei farmaci per via orale, con meno effetti collaterali. Altre aziende farmaceutiche sono inoltre in attesa di vedere approvati i loro farmaci contro l’epatite C, che saranno messi in commercio entro i prossimi due anni.
Considerati i risultati dei test clinici ci sono grandi aspettative per i nuovi farmaci. Poiché l’epatite ha un decorso lungo, molti medici hanno messo in attesa i loro pazienti, per evitare le attuali terapie molto invasive e debilitanti: inizieranno le cure quando i nuovi medicinali saranno sul mercato tra qualche mese. Secondo alcuni osservatori la domanda iniziale potrebbe essere quindi molto alta, falsando le statistiche sull’adozione e l’efficacia dei nuovi farmaci nel breve periodo.
Come tutte le cure con farmaci di nuova generazione, almeno inizialmente le terapie saranno molto care: negli Stati Uniti avranno un costo stimato tra i 60mila e i 100mila dollari per un ciclo di cura. Per le persone non assicurate e per i paesi in cui i sistemi sanitari nazionali non coprono i costi delle nuove terapie sarà un problema. Infine, i nuovi farmaci potrebbero costituire una tentazione per le persone che se li possono permettere e a cui è stata diagnosticata l’epatite C senza problemi significativi a carico del fegato. In questi casi di solito i pazienti sono tenuti periodicamente sotto controllo per verificare il decorso della malattia e non ricevono particolari cure, perché è probabile che l’organismo tenga sotto controllo il virus. Ma siccome non si può prevedere anticipatamente se la presenza del virus porterà a danni, molti ricorreranno probabilmente ai nuovi farmaci per eliminare il virus e ridurre al minimo la probabilità di avere complicazioni con un uso strettamente non necessario dei medicinali.