Via dall’Afghanistan
Adriano Sofri racconta come procedono le operazioni di ritiro del contingente militare italiano, che finiranno il prossimo anno
Su Repubblica di oggi, Adriano Sofri racconta come procedono le operazioni di ritiro del contingente militare italiano in Afghanistan, che ha già cominciato a restituire alle forze locali le basi della regione di Herat.
Come opera, e con quali pensieri e atteggiamenti, il contingente italiano, a rientro ormai iniziato — dovrebbe completarsi entro il prossimo anno — e che situazione lascerà, con quali prospettive. Siamo qui in quel modo peculiare che si è chiamato embedded, cioè pienamente ospiti della componente italiana della forza armata Isaf. La base di Herat ha oggi tremila italiani, e quasi duemila militari fra americani, spagnoli e di altre nazioni. La Regione a comando italiano aveva finora, oltre a numerosi avamposti minori, quattro basi maggiori: oltre a Herat, Farah, Shindand, Bala Boluk.
Farah è stata smobilitata e restituita agli afgani giovedì scorso, 31 ottobre. Bala Boluk lo sarà entro il 15 novembre. Erano presidiate ambedue dai bersaglieri del 6° Reggimento di Trapani, al comando del colonnello Mauro Sindoni, 46 anni — i graduati di ogni ordine sono oggi molto più giovani che in passato, meno marziali, direi, e più spiritosi. Con che stato d’animo attraversa questo passaggio di consegne? «Direi quasi che fatto, più o meno, l’Afghanistan, bisogna fare gli afgani. Probabilmente D’Azeglio lo ripeterebbe anche per noi italiani». Fra un trasloco compiuto e uno imminente, si dice «umanamente sollevato, e istituzionalmente soddisfatto del risultato. Eravamo un presidio per la prevenzione di attacchi e la libertà di movimento. Siamo progressivamente diventati una specie di scuola guida per militari e polizia afgani, e collaboratori dei loro organi di governo.
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Foto: una cerimonia delle forze italiane in una base militare vicino all’aeroporto di Herat, Afghanistan, 10 settembre 2013.
(Aref Karimi/AFP/Getty Images)