La nascita dell’Unione Europea
Fu vent'anni fa, quando entrò in vigore il Trattato di Maastricht: quello che contiene i "vincoli di Maastricht" di cui si sente parlare spesso, ed è una buona occasione per conoscerli
Il primo novembre del 1993 gli uffici della Commissione europea e delle altre istituzioni a Bruxelles erano quasi completamente vuoti. Come ogni altro primo novembre, agli impiegati era stato dato il giorno libero in occasione della festa di Ognissanti. Quel giorno, in apparenza, non accadde nulla di particolare. Bruxelles rimase tranquilla come ogni altro giorno dell’anno: non ci furono cerimonie solenni, taglio di nastri o alzabandiera. Eppure, quel giorno – esattamente 20 anni fa – entrò in vigore il trattato di Maastricht e nacque l’Unione Europea come la conosciamo oggi.
Il trattato di Maastricht
Il Trattato di Maastricht (qui il testo integrale, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’UE nel luglio 1992) fu il trattato che stabilì l’Unione Europea con il nome odierno e gran parte delle istituzioni comunitarie che conosciamo oggi. Trasformò le finalità delle precedenti organizzazioni, come la Comunità Economica Europea da un’unione solo economica a un’unione politica. Pose le basi della creazione della Banca Centrale Europea e dell’introduzione dell’euro. Il trattato, insieme a vari emendamenti, dichiarazioni e altri trattati sottoscritti negli anni successivi, forma il corpo giuridico che costituisce l’Unione, cioè i Trattati dell’Unione Europea, o, semplicemente, i “Trattati fondamentali”.
Le istituzioni principali che governano l’Unione, anche se con funzioni diverse e con diversi cambiamenti, sono sopravvissute nella forma che diede loro il trattato. Fu istituito per esempio il Consiglio dell’Unione Europea, un organo formato dai rappresentanti di tutti i governi membri che in precedenza si riuniva soltanto in maniera informale. Tra le modifiche successive c’è stato il trattato di Lisbona nel 2009, con cui il Consiglio dell’Unione Europea (o semplicemente, il Consiglio o Consilium) è diventato di fatto la “camera alta” di un sistema bicamerale europeo. Il Consiglio dell’Unione Europea non va confuso con il Consiglio Europeo, istituito dallo stesso trattato di Lisbona, che è l’organo che ha funzioni di indirizzo e che è formato dai capi di stato o di governo dei paesi membri dell’Unione. E non va confuso nemmeno con il Consiglio d’Europa, che è un’altra cosa che non c’entra niente con l’Unione Europea.
Con il trattato di Maastricht furono precisati anche i poteri del Parlamento Europeo (che in varie forme e con vari nomi esisteva già dagli anni Cinquanta). Il trattato di Maastricht aumentò i poteri del Parlamento e diminuì quelli del Consiglio a favore della Commissione Europea, che con il trattato di Lisbona nel 2009 iniziò a somigliare a una sorta di “potere esecutivo” o governo dell’Unione. Nel trattato di Maastricht furono precisate anche le funzioni della Corte di Giustizia e di altri organi minori, come la Corte dei Conti europea.
Con il trattato venne anche istituito il sistema europeo delle banche centrali (uno dei passaggi fondamentali per arrivare all’euro) e la BCE, che cominciò a operare utilizzando questo nome solo quando l’euro entrò in vigore, il primo gennaio 1999 (all’epoca era usato solo per pagamenti elettronici: nelle nostre mani sarebbe arrivato soltanto il primo gennaio 2002).
I vincoli di Maastricht
La parte in cui si delinea l’aspetto istituzionale del trattato non è però quella più famosa, anche perché è stata in parte superata dal trattato di Lisbona. Ma c’è un’altra sezione del trattato che rimane tuttora molto attuale e che compare spesso sulle pagine dei giornali: quella che riguarda i citatissimi “vincoli di Maastricht”. Si tratta di una serie di vincoli al bilancio pubblico contenuti nella parte del trattato in cui si preparava il terreno all’arrivo dell’euro. Questi vincoli a volte vengono chiamati “criteri della convergenza”, ma il nome che si è diffuso di più sui media è appunto “vincoli di Maastricht”.
Questi vincoli erano in sostanza una serie di obiettivi che i vari paesi dovevano raggiungere prima di entrate nell’ultima fase che precedeva l’adozione dell’euro. Il primo riguardava l’inflazione, che non avrebbe dovuto essere più dell’1,5 per cento superiore alla media degli altri paesi. Il tasso di cambio delle varie monete doveva rimanere stabile e agganciato intorno a un certo valore (in altre parole, per soddisfare i vincoli, il paese membro non avrebbe più potuto svalutare la propria moneta) e il tasso di interesse pagato sui propri titoli di stato non doveva discostarsi troppo da quello degli altri paesi.
Ma i due criteri più importanti, e che sono ancora oggi al centro di nuovi trattati e meccanismi, erano i due che riguardavano il deficit – quello che si verifica quando, in un anno, le uscite di uno stato sono superiori alle entrate – e quello del rapporto tra PIL e debito pubblico. Il primo non doveva essere superiore al 3 per cento del PIL, e in caso contrario sarebbe scattata una “procedura per eccesso di deficit” (quella da cui l’Italia è uscita lo scorso giugno); il secondo, cioè il debito pubblico, non doveva superare il 60 per cento del PIL – quello italiano oggi è al 130 per cento – o, nel caso fosse superiore, doveva “tendere alla diminuzione”. Che cosa significasse esattamente l’espressione era lasciato un po’ oscuro.
Soddisfare questi criteri o vedersi riconoscere un’eccezione nel caso di uno sforamento ha costituito per i primi anni di vita dell’Unione Europea il principale dibattito tra i paesi membri. Tuttora, i paesi che vogliono entrare a far parte dell’euro devono soddisfare questi criteri e la BCE pubblica ogni due anni un rapporto per verificare chi li soddisfa. Nell’ultimo di questi rapporti, pubblicato nel maggio del 2012, nessuno dei sette paesi che hanno fatto domanda è stato giudicato pronto per entrare nell’euro.
Breve storia del trattato
Il 2 novembre 1993 la notizia dell’entrata in vigore del trattato ottenne a malapena uno spazio sulle prime pagine dei principali quotidiani europei. Il Guardian britannico, ad esempio, dedicò all’evento un breve articolo intriso di ironia. Vent’anni dopo, l’anniversario dell’entrata in vigore del trattato – venerdì 1 novembre 2013 – è stato celebrato più o meno nello stesso modo silenzioso.
La mancanza di solennità può derivare in parte dal fatto che il trattato venne firmato più di un anno prima della sua entrata in vigore, il 7 febbraio 1992, con una cerimonia nella città olandese di Maastricht. Il ventennale della firma, l’anno scorso, è stato celebrato in maniera non molto più spettacolare della sua entrata in vigore.
Di sicuro all’epoca c’era molto scetticismo. Negli articoli che vennero scritti in quei giorni, sembra che in pochi avessero la sensazione di trovarsi davanti a un evento storico. Gli avvenimenti che portarono al trattato furono molti e complessi e probabilmente fu difficile all’epoca valutare quanto quel trattato rappresentasse un passo decisivo nella storia europea. Di trattati, infatti, ce n’erano già stati parecchi, a partire dal primo e più importante: quello firmato a Roma nel 1957 con il quale venne istituita la Comunità Economica Europea. Ne facevano parte Italia, Francia, Germania Ovest, Lussemburgo, Belgio e Olanda. Questo trattato, cambiato ed emendato molte volte, è ancora in vigore, anche se con un altro nome: “Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea“.
All’epoca la CEE era solo uno tre organi che raggruppavano i principali paesi europei: al suo fianco c’erano anche la Comunità dell’Energia Atomica e quella del carbone e dell’acciaio. Negli anni successivi la CEE aumentò il numero di stati membri e le sue istituzioni cominciarono a prendere forma. Il Parlamento europeo nacque con questo nome dopo la firma del trattato di Roma e divenne una sorta di assemblea condivisa tra tutte e tre le comunità. Negli anni successivi aumentò sempre più la sua indipendenza fino a che nel 1979 cominciò a far eleggere i suoi membri (in precedenza al Parlamento Europeo si riunivano membri dei parlamenti nazionali).
Nel frattempo un’altra istituzione europea, quello che oggi è il Consiglio dell’Unione Europea, cominciava a prendere forma, mentre i vari capi di governo e ministri della Comunità cominciavano ad incontrarsi regolarmente, anche se in maniera informale. Negli anni Ottanta si cominciarono a mettere le basi per creare un mercato comune europeo, eliminando le ultime barriere doganali e le restrizioni ai movimenti delle persone e dei capitali. Infine, quando il muro di Berlino cadde e le due Germanie si riunirono, i leader europei decisero che era giunto il momento di fare un significativo passo avanti. Nelle discussioni che precedettero la firma del trattato divenne chiaro che l’obiettivo dei leader europei non era più quello della Comunità Economica Europea, cioè creare un singolo mercato comune. Il Trattato di Maastricht avrebbe aperto la lunga strada per un’unità non solo economica, ma anche politica.