È finito il caso Clarín
La Corte Suprema argentina ha dato ragione a Cristina Kirchner sulla legge anti-trust per i gruppi di comunicazione del paese
Martedì 29 ottobre la Corte Suprema dell’Argentina, il massimo tribunale del paese, si è espresso a favore della costituzionalità di una legge molto dibattuta su alcune norme anti-trust per i media audio-visuali, approvata dal parlamento nel 2009 ma contestata dal maggiore gruppo argentino di comunicazione, Clarín. La legge prevede che alcuni gruppi di comunicazione, che rientrano nei requisiti previsti dalla legge, vengano smembrati o vendano alcune delle loro licenze, e che alcune loro parti vengano messe all’asta dal governo. Il caso ha fatto molto discutere in Argentina, e la sentenza della Corte Suprema era molto attesa: in molti credono infatti che la legge sia uno strumento usato dal governo guidato da Cristina Kirchner per colpire il gruppo Clarín, spesso critico nei confronti dell’operato dell’amministrazione di Buenos Aires. Martedì sera migliaia di sostenitori di Kirchner si sono trovati di fronte all’edificio del parlamento argentino, a Buenos Aires, per festeggiare la sentenza della Corte.
La legge era stata proposta da Kirchner, da altre forze di centrosinistra e da alcuni gruppi sociali nel 2007, ufficialmente con l’obiettivo di ridurre la concentrazione del potere dei grandi gruppi di comunicazione del paese, e favorire così maggiore pluralismo nell’informazione. Di fatto la norma limita la quantità di radio, televisioni e servizi di tv a pagamento che possono essere detenuti da un singolo gruppo editoriale: si stima che la legge riguarderà 21 gruppi, e che le licenze che verranno messe all’asta saranno 330, di cui la gran parte (tra le 150 e le 200) appartenenti a Clarín.
Il gruppo Clarín è uno dei più grandi gruppi del settore multimediale in America Latina. Ha un fatturato annuo di circa 2 miliardi di dollari. Pubblica il Clarín, il più diffuso quotidiano dell’Argentina (e dell’America Latina), e alcuni giornali locali argentini. Il gruppo possiede anche una radio, un canale televisivo via cavo e uno in chiaro, Canal 13, che è il più visto in Argentina.
Il quotidiano spagnolo El Pais, che si occupa spesso e con grande attenzione delle cose che succedono in America Latina, ha scritto che la Corte Suprema argentina ha acquisito molto prestigio negli ultimi anni, in particolare dopo che il governo di Néstor Kirchner (presidente dal 2003 al 2007 e marito di Cristina, morto nell’ottobre 2010) ottenne la rimozione di alcuni magistrati sospettati di corruzione, e la loro sostituzione con giuristi indipendenti e non legati ad alcuna forza politica. In passato la Corte si è pronunciata sia a favore che contro Kirchner, e anche la votazione sul “caso Clarín” è stata molto equilibrata.
Dopo la sentenza della Corte Suprema, il gruppo Clarín ha diffuso una nota in cui dice di considerare la possibilità di fare appello a un tribunale internazionale. Nel comunicato si legge:
«La prova più concreta delle reali intenzioni del governo con questa legge è stato l’enorme processo ufficiale di “colonizzazione” dei gruppi di comunicazione. Oggi, più dell’80 per cento delle trasmissioni dei media risponde direttamente o indirettamente alle autorità.»
La sentenza della Corte mette fine a una disputa nata tra il governo di Kirchner e il gruppo Clarín di proprietà di Ernestina Herrera de Noble e Héctor Magnetto, iniziata nel 2008. Prima di allora Clarín e la presidentessa avevano mantenuto rapporti abbastanza buoni: nel 2008 però la discussa riforma agraria spinse il gruppo di comunicazione a criticare duramente il governo, e le relazioni tra i due sono peggiorate negli anni a seguire. La sentenza arriva pochi giorno dopo le elezioni parlamentari di medio termine, che sono finite con una cospicua sconfitta della coalizione guidata da Kirchner e un’avanzata significativa del gruppo di opposizione guidato da Sergio Massa, probabile candidato alle elezioni presidenziali che si terranno nel 2015.