In Congo sta vincendo l’esercito
Negli ultimi 3 giorni le forze governative hanno sconfitto i ribelli in alcune città importanti del paese, anche grazie a un generale brasiliano
Nella sera di sabato 26 ottobre, dopo due giorni consecutivi di scontri violenti, l’esercito della Repubblica Democratica del Congo ha cacciato i ribelli del “Movimento per il 23 marzo” (M23) dalla città di Kibumba, nel Congo orientale a circa un’ottantina di chilometri dal confine con il Ruanda. Due giorni dopo, lunedì 28 ottobre, i militari hanno ottenuto un’altra importante vittoria, prendendo il controllo della città di Rumangabo, a circa 50 chilometri a nord di Goma, una delle tre più grandi basi militari dell’esercito congolese prima che fosse presa dai ribelli lo scorso anno. L’inviato delle Nazioni Unite nella Repubblica Democratica del Congo, Martin Kobler, ha commentato le sconfitte subite negli ultimi giorni dal M23 parlando di “fine militare” del movimento dei ribelli, dopo più di un anno e mezzo di guerriglia con l’esercito congolese: Kobler ha detto che i militanti del M23 si sono rifugiati in un piccolo triangolo di terra al confine con il Ruanda.
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La guerra tra ribelli e forze governative va avanti dall’aprile del 2012, quando alcune centinaia di soldati avevano disertato l’esercito congolese, lamentandosi per le condizioni di vita a cui erano sottoposti, e si erano uniti agli insorti di etnia tutsi guidati dal generale Bosco Ntaganda. Da allora in diverse zone del paese si è esteso un conflitto complicato, legato a un’altra serie di guerre che ha colpito il Congo negli ultimi decenni, definita dal New York Times come «tra le più intricate, prolungate e mortali del mondo».
Sintetizzando, il conflitto in Congo è legato a problemi anche razziali che coinvolgono tutta la regione dei Grandi Laghi, quella che comprende Ruanda, Burundi, Uganda, Repubblica Democratica del Congo, Tanzania e Kenya. I membri del M23 sono prevalentemente di etnia tutsi e la loro opposizione al governo congolese ha origine nel conflitto con l’etnia hutu e tutsi in Ruanda, dove nel 1994 fu compiuto il genocidio dei primi ai danni dei secondi. Dopo i massacri i tutsi sono lentamente tornati nei posti di potere ruandesi, costringendo molti hutu a migrare in massa in Congo. Da allora il Ruanda ha un interesse particolare per la situazione congolese e secondo diverse fonti sta tuttora addestrando e armando il M23.
Gli eventi di questi ultimi tre giorni hanno ribaltato una situazione che fino a non molto tempo fa era chiaramente a favore dei ribelli – l’episodio di cui si parlò di più fu la presa temporanea della città orientale di Goma da parte dei ribelli nell’autunno del 2012. Allora c’era poca fiducia nelle forze militari congolesi, considerate inefficienti e indisciplinate: i suoi soldati erano accusati di essere corrotti e spesso ubriachi. Poi le cose sono cambiate, racconta il New York Times.
L’avanzata dei ribelli della fine del 2012 spinse il governo congolese e il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a cambiare diverse cose nella strutture delle forze militari che dovevano opporsi al M23: il governo richiamò decine di ufficiali a Kinshasa, la capitale della RDC, e snellì la struttura di comando dell’esercito. A marzo 2013 l’ONU autorizzò l’intervento di un gruppo di peacekeepers guidato dal generale brasiliano Carlos Alberto dos Santos Cruz, che aveva fronteggiato con successo la guerriglia tra gang a Haiti. Cruz adottò un atteggiamento molto più aggressivo nei confronti dei ribelli, al limite del mandato che gli era stato conferito dall’ONU (la questione fu oggetto comunque di un ampio dibattito). Gli interventi funzionarono e in agosto l’esercito riconquistò alcune posizioni strategiche nell’area di Goma, facendo retrocedere i ribelli e costringendoli a negoziare da una posizione di debolezza.
I negoziati sono andati avanti fino alla scorsa settimana, quando sono ripresi gli scontri. Non è ancora chiaro cosa li abbia scatenati, o chi li abbia iniziati: un portavoce del M23 ha detto che sono stati i militari, mentre un generale congolese ha spiegato che si è trattato di una risposta a un attacco ribelle. A differenza di quanto ha detto Martin Kobler, il New York Times ha scritto che «nessuno pensa che la guerra in Congo sia finita». La guerra in Congo ha avuto effetti devastanti sulla popolazione: secondo le ultime stime dell’ONU, dall’aprile 2012 almeno 800 mila persone sono state costrette ad abbandonare le loro case e i morti sono migliaia.