Cosa fa la commissione antimafia?
Può fare indagini come un tribunale ed è intervenuta in molte questioni importanti: le cose da sapere e un po' di storia, dopo le polemiche su Bindi
Martedì Rosy Bindi – 62 anni, ex presidente del Partito Democratico – è stata eletta alla presidenza della Commissione antimafia grazie ai voti del PD, di Scelta Civica e di SEL. L’elezione è arrivata al ballottaggio con Luigi Gaetti del M5S, poi eletto vicepresidente insieme a Claudio Fava di SEL. La cosa ha generato discussioni e polemiche, di cui danno ampiamente conto le prime pagine dei giornali di oggi: il PdL ha protestato perché il nome di Bindi non è stato deciso e condiviso in anticipo tra i due principali partiti della maggioranza. Renato Schifani e Renato Brunetta hanno detto che i membri del PdL della commissione, in segno di protesta, “non parteciperanno ai lavori della Commissione per l’intera legislatura”.
La Commissione bicamerale antimafia ha una storia importante, esiste in varie forme e con risultati diversi da oltre cinquant’anni: può lavorare anche senza i parlamentari del PdL, ma Bindi ha detto che non intende farlo.
Che cos’è
La Commissione antimafia è una commissione parlamentare bicamerale e d’inchiesta. È una delle 14 commissioni attualmente formate da membri di entrambe le camere del Parlamento. Il nome ufficiale è “Commissione d’inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere” ed è stata istituita, per questa legislatura, con la legge n.87 del 19 luglio 2013. Il Parlamento italiano ha una commissione antimafia ininterrottamente dal 1982.
Oggi è formata da 25 deputati e 25 senatori: ne fanno parte per esempio Carlo Giovanardi e Mara Carfagna del PdL; la giornalista famosa per le sue inchieste contro la camorra Rosaria Capacchione, eletta con il PD, e Claudio Fava di SEL, figlio del giornalista Giuseppe ucciso dalla mafia nel 1984.
Che cosa fa
La Commissione antimafia è l’unica commissione parlamentare in attività che abbia una funzione d’inchiesta. Questo significa, come stabilisce l’articolo 82 della Costituzione, che può procedere “nelle indagini e negli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria.” Questo le permette di sentire testimoni e di acquisire prove e documentazioni, anche se naturalmente non istruisce processi e non emette condanne.
Il sito della commissione per il periodo 1996-2001 aveva riassunto così le sue attività: “ha compiuto audizioni di membri del Governo e del Parlamento, magistrati, rappresentati delle forze dell’ordine, di enti locali ed economici, collaboratori di giustizia ed altri, per analizzare, da vari osservatori, l’evoluzione del fenomeno mafioso. Inoltre, delegazioni della Commissione hanno effettuato missioni in diverse regioni italiane, per approfondire ed osservare nel concreto le problematiche legate alla presenza mafiosa sul territorio.” Oltre alle audizioni e alle missioni – che si sono occupate anche dello stato delle carceri, come una visita ispettiva a Poggioreale del luglio 1986 – promuove l’informazione sulla mafia, per esempio nelle scuole, pubblica documenti e organizza convegni.
Fin dalla fine degli anni Ottanta, insieme all’attività conoscitiva e informativa, la Commissione antimafia ha presentato diverse proposte di legge che riguardano la mafia. Alcune di queste, come l’importante legge n. 55 del 1990 che avviò un nuovo periodo di iniziative legislative contro la mafia, sono state discusse e approvate dal Parlamento. Uno degli ultimi interventi importanti, alla fine del 2002, ha riguardato la definitiva stabilizzazione del discusso “regime del 41 bis”, il cosiddetto “carcere duro” riservato ai mafiosi (la sua introduzione era stata intesa inizialmente come temporanea ed eccezionale): negli anni successivi ha anche svolto diverse valutazioni sulle conseguenze della sua introduzione definitiva.
Un po’ di storia
Per molti anni le istituzioni italiane hanno ignorato, sottovalutato o negato apertamente l’esistenza di un fenomeno mafioso diverso dalla comune criminalità organizzata. La prima legge che introduce un reato specifico risale solo al 1982, quando venne introdotto nel codice penale (all’art. 416 bis) il reato di “associazione mafiosa”. La legge, cosiddetta Rognoni-La Torre dai nomi dei promotori, arrivò dopo l’uccisione del generale Dalla Chiesa, avvenuta il 3 settembre di quell’anno.
L’idea di istituire una commissione parlamentare per occuparsi dei problemi di “ordine pubblico” in Sicilia, però, era molto più antica, e aveva già portato a corpose iniziative parlamentari. La prima proposta risale al settembre del 1948, pochi mesi prima che l’allora ministro dell’Interno Mario Scelba dicesse, in un celebre intervento al Senato, “si parla della mafia condita in tutte le salse ma, onorevoli senatori, mi pare che si esageri in questo” (25 giugno 1949). Un’altra proposta, presentata nel 1958 ma discussa solo nel 1961, venne definita dal senatore della DC Mario Zotta “inutile, antigiuridica e inidonea”.
Ma su pressione della stessa giunta regionale siciliana si arrivò all’istituzione di una commissione parlamentare che indagasse sulle cause economiche e sociali della mafia, in modo da cercare di intervenire con altri strumenti che non fossero quelli della sola repressione poliziesca. Questa venne approvata con una legge del dicembre del 1962 e rimase in carica per tredici anni, producendo relazioni che parlavano per la prima volta di collegamenti tra mafia e politica locale siciliana e, ai primi degli anni Settanta, di una diffusione dell’organizzazione anche fuori dalla Sicilia. Nel 1976 la prima Commissione d’inchiesta sulla mafia terminò i suoi lavori: pubblicò 42 volumi di atti ma, sotto la presidenza “morbida” del democristiano Luigi Carraro, concluse che il fenomeno mafioso era limitato e da non sopravvalutare.
Anche se per il reato bisognerà aspettare il 1982, durante gli anni della prima Commissione (nel 1965) era stata approvata una prima legge che conteneva nello specifico – come diceva il titolo – “Disposizioni contro la mafia”. È una legge importante per la storia dell’antimafia italiana, ma che ebbe risultati molto limitati perché fondata su un generico “sospetto” di appartenenza alle associazioni mafiose e perché prevedeva misure facilmente aggirabili (alla fine degli anni Sessanta lo fece per esempio Totò Riina).
Tra il 1982 e il 1987 fu attiva una seconda commissione antimafia, ma questa volta senza poteri d’inchiesta: doveva solo verificare l’attuazione della legge Rognoni-La Torre. Tornò ad avere poteri d’inchiesta con le legislature successive, a partire dal 1988 (i presidenti furono Gerardo Chiaromonte, 1988-1992, Luciano Violante, 1992-1994, e Tiziana Parenti, 1994-1996): dal 1996 a oggi la legge che la regola è rimasta la stessa.
Foto: la Commissione antimafia riunita alla Camera, nel febbraio 2010.
(Mauro Scrobogna / LaPresse)