Il centenario di Robert Capa
Le immagini di uno dei fotoreporter di guerra più apprezzati e famosi di sempre, che non si chiamava Robert Capa (e non era americano)
Esattamente cento anni fa nacque in Ungheria uno dei fotoreporter di guerra più famosi e bravi di sempre, Robert Capa. Che non si chiamava Robert Capa e che, contrariamente a quanto pensano in molti, non era americano.
Robert Capa si chiamava Endre Ernő Friedmann: nacque in Ungheria nel 1913 e si trasferì in Germania a 18 anni. Militava nel partito comunista, era ebreo, scriveva, lavorò in uno studio fotografico di Berlino ma fu costretto a scappare nel 1933 a causa dell’ascesa del nazismo. Arrivò in Francia, dove lavorò qualche anno come freelance – insieme con la compagna Gerda Taro, anche lei fotografa. È negli anni di Parigi che decise di darsi un nome d’arte, cosa che secondo il suo punto di vista avrebbe reso le sue fotografie più accattivanti. Scelse “Robert Capa”, che suonava come un nome americano.
La sua carriera passa attraverso i principali conflitti del Novecento, soprattutto cinque: la Guerra civile spagnola (1936-1939), la Seconda guerra sino-giapponese (che seguì nel 1938), la Seconda guerra mondiale (1941-1945), la Guerra arabo-israeliana (1948) e la Prima guerra d’Indocina (1954).
Capa è considerato come uno dei massimi rappresentanti della fotografia di reportage, pur non essendo il primo a scegliere la guerra come soggetto. Nel 1855 Roger Fenton fotografò la guerra in Crimea e negli anni Sessanta Mathew Brady fotografò la Guerra civile americana, ma gli anni in cui Capa lavora sono considerati rivoluzionari per l’informazione e Capa fa parte di questo cambiamento. In quegli anni, infatti, due grandi innovazioni tecniche aiutano l’ascesa di questo genere di fotografia: l’invenzione del retino tipografico, che permette la riproduzione fotografica a rotativa e che porta lo strumento a pieno regime nell’informazione – per la prima volta in riviste come Life e Vu viene dato molto più spazio all’immagine e al racconto fotografico, invece che alle parole – e la produzione di macchine fotografiche di piccolo formato. La macchina piccola e maneggevole permette al fotografo di andare fisicamente incontro al soggetto scattando immagini che siamo abituati a definire di reportage, un genere molto radicato nel nostro immaginario e considerato come “fotografia per eccellenza” (un concetto che adesso sta cambiando molto velocemente e che risponde, ancora una volta, a nuove esigenze ed opportunità).
Capa inseguì l’utopia di poter catturare il famoso “momento decisivo”, quell’istante unico che diventa racconto utilizzando la fotografia al massimo delle sue potenzialità come strumento di documentazione e registrazione. In quel caso il reporter diventa parte della storia, dato il suo ruolo molto attivo nella produzione delle immagini: per cominciare rischia la vita – Capa morì al seguito di una squadra di truppe francesi durante la Prima guerra di Indocina, nel 1954 – e mette in gioco abilità fisiche e di coraggio non così diverse da quelle di un soldato. Inoltre diventa famoso insieme con le sue foto: i racconti delle sue imprese viaggiano con le fotografie.
Alcune immagini di Capa sono diventate simboli della crudeltà della guerra. Tra le sue fotografie più famose c’è l’immagine del 1936 del soldato dell’esercito repubblicano spagnolo colpito a morte da un proiettile e pubblicata, per la prima volta, sulla rivista Vu e poi su Life. L’immagine aprì questioni generali ancora attualissime sulla sua autenticità, come spesso accade per questo tipo di fotografia: il proiettile fu sparato dai franchisti o è un’azione costruita dal fotografo? Dove è stata realmente scattata? Chi è davvero il soldato? Molte versioni diverse sono state avanzate negli anni. In un’interessante intervista del 1947, ritrovata e pubblicata oggi dall’International Center of Photography, Capa racconta il suo punto di vista a proposito di questa fotografia.
Nel 1947 Robert Capa fondò a Parigi – insieme con Henri Cartier-Bresson, David “Chim” Seymour, George Rodger e William Vandivert – l’agenzia fotografica cooperativa Magnum Photos, diventata una delle più prestigiose agenzie fotografiche al mondo. In quegli anni il genere reportage conosce il suo momento di massima espressione: finita la Seconda guerra mondiale c’è la necessità di capire, di vedere e provare a ricostruire i fatti della storia anche attraverso il racconto fotografico.
In Italia in questi giorni è possibile visitare due mostre che ripercorrono la storia di Robert Capa. Una è a Roma – “Robert Capa in Italia 1943 – 1944” – al Museo Palazzo Braschi fino al 6 gennaio; mentre la seconda, “Robert Capa. La realtà di fronte”, è stata appena inaugurata presso Villa Manin a Passariano di Codroipo (Udine) e rimarrà esposta fino al 19 gennaio.
(Robert Capa durante la guerra civile spagnola, 1937, fotografia di Gerda Taro)