La lingua senza numeri

Una popolazione amazzonica di poche centinaia di persone sembra essere l'unica al mondo a non avere gli strumenti per contare

Il blog Lexicon Valley su Slate ha raccontato le particolarità della lingua dei Pirahã, una delle poche tra le circa settemila lingue che sono parlate oggi nel mondo a non avere i numeri.

I Pirahã – si pronuncia più o meno pirahàn – sono una popolazione amazzonica di cacciatori-raccoglitori, formata oggi da circa 700 persone, che vive nelle giungle del Brasile nordoccidentale, lungo le rive dello stretto e sinuoso fiume Maici. Anche la loro lingua è chiamata Pirahã: ha un sistema fonetico formato solo da otto consonanti e da tre vocali, che compensa con una grande ricchezza di accenti e intonazioni, tanto che ascoltando una conversazione si ha spesso l’impressione di sentire un canto o un fischio. Tutti i dialetti della lingua Mura, da cui la lingua Pirahã discende, si sono estinti. Questo ne fa una lingua senza nessun parente nel mondo, come ad esempio il basco. E mentre gli altri parlanti Mura sono passati al portoghese nel corso degli ultimi decenni, la lingua Pirahã continua a essere parlata dalla popolazione che porta il suo nome, che non sembra avere alcuna intenzione di cambiare.

La lingua Pirahã possiede almeno una caratteristica unica al mondo, spiega Slate.

Tra le molte peculiarità del Pirahã c’è un’assenza quasi completa di termini e strutture che riguardano i numeri, un tratto linguistico estremamente raro di cui ci sono solo pochi casi documentati. La lingua non contiene parole per i singoli numeri e solo tre che si avvicinano a qualche nozione di quantità: hói, “una piccola dimensione o quantità”, hoí (spostando l’accento) “una dimensione o quantità un po’ più grande”, e baágiso, che può significare sia “un motivo per radunarsi” che “un mucchio”.

Senza alcun modo di esprimere esattamente i numeri interi, la domanda ovvia è: come fanno i Pirahã a contare? Più concretamente, come chiedono due cose invece di una sola? La risposta – secondo alcune delle ricerche più recenti sull’assenza della capacità di numerare, pubblicate dall’etno-linguista Caleb Everett sulla rivista accademica Cognitive Science — suggerisce, quasi inconcepibilmente, che non lo fanno.

Un paio di anni fa Everett ha svolto alcuni esperimenti con alcuni parlanti della lingua Pirahã. In uno di questi, mise su un tavolo una serie di oggetti (ad esempio pile elettriche) ad uguale distanza l’uno dall’altro e chiese ai Pirahã che partecipavano all’esperimento di fare una seconda linea con lo stesso numero di oggetti. In un altro, mostrò una serie di oggetti ai Pirahã e dopo breve tempo li nascose. Poi chiese di nuovo di fare una linea uguale a quella coperta. Mentre, in entrambi i casi, chi parla inglese non ha problemi a eseguire correttamente la richiesta fino a quando serie relativamente lunghe (oltre i sette oggetti) non sono mostrate e poi coperte velocemente, i Pirahã fanno molta fatica a dare risposte esatte non appena gli oggetti sul tavolo sono più di due o tre. I Pirahã, assai semplicemente, non hanno gli strumenti linguistici per contare e dunque non lo fanno.

Ci sono altre lingue (in Australia, in Africa, nella stessa Amazzonia) che secondo i linguisti hanno un sistema di conteggio che consiste solo in “uno”, “due” e “molti”: ma la differenza, secondo alcuni studiosi tra cui Everett, sta nel fatto che i Pirahã adulti sono gli unici che non sono neppure in grado di imparare sistemi di numerazione in altre lingue come il portoghese. Secondo alcuni, questa è una delle prove del fatto che il loro linguaggio influenza in modo decisivo la loro visione del mondo e le loro capacità di pensiero, una teoria molto dibattuta perché si scontra contro l’idea di una “grammatica universale” avanzata negli anni Sessanta dal celebre linguista americano Noam Chomsky.

Everett nota che parte dei motivi per cui i Pirahã non contano risiedono nel fatto che, per quanto sia difficile da immaginare per un europeo, nulla nello stile di vita e nelle attività usuali del popolo amazzonico richiede di contare oltre il numero tre: “un fatto che non è sfuggito agli estranei – aggiunge Slate – che a volte ne hanno approfittato negli scambi commerciali”. Naturalmente, non utilizzando numeri i Pirahã non fanno operazioni matematiche, neppure le più semplici.

Le caratteristiche dei Pirahã sono diventate note e molto discusse tra i linguisti da qualche anno: precisamente dal 2005, quando Dan Everett – oggi 62enne e padre di Caleb – pubblicò un articolo sul proprio sito che venne ripreso dalla rivista scientifica Current Anthropology. La storia nella storia è che Dan Everett e la moglie Keren arrivarono nell’area abitata dai Pirahã negli anni Settanta, come missionari cristiani. Everett, molti anni dopo e non senza aver tradotto in Pirahã il Vangelo di Luca, ha perso la fede e si è separato dalla moglie, ma nonostante i cambiamenti ha vissuto quasi trent’anni frequentando assiduamente la popolazione e vivendo per lunghi periodi con loro, fino a diventare in grado di padroneggiare la lingua.

Per circa venticinque anni Dan, che oggi insegna in una piccola università del Massachusetts, ha pubblicato articoli e libri sulla loro lingua e cultura ricevendo relativamente poca attenzione, avanzando diverse ipotesi che sono state molto criticate (come l’idea che i Pirahã non producano mai opere d’arte): li ha descritti come una popolazione dal pensiero e dalle abitudini straordinariamente semplici. I Pirahã, ha scritto Everett, non solo non hanno numeri, ma neppure parole precise per indicare i colori, tempi verbali che indicano azioni concluse nel passato, e manca loro tutta una serie di termini che secondo molti linguisti dovrebbero appartenere a tutte le lingue umane, come “tutto”, “ogni”, “ciascuno”, “pochi” o “la maggior parte”.

La popolazione Pirahã non sembra essere interessata a imparare sistemi di numerazione, né ad aggiornarsi su qualsiasi altra presunta mancanza della propria lingua registrata dagli studiosi. Come raccontò John Colapinto sul New Yorker in un lungo articolo su di loro di qualche anno fa e che racconta la storia degli Everett, i Pirahã chiamano tutte le lingue diverse dalla loro con un termine dispregiativo traducibile con “testa storta” e “considerano tutte le forme del discorso umano diverse dalla loro ridicolmente inferiori; sono unici, i popoli amazzonici, che rimangono monolingua.” Già nel 1921 uno dei primi antropologi che visse tra di loro per un po’ di tempo notò che mostravano “poco interesse nei vantaggi della civilizzazione” e mostravano “quasi nessun segno di contatto permanente con popoli civilizzati”.

Gli antropologi sembrano essere d’accordo sul fatto che, come altri popoli amazzonici, i Pirahã non abbiano miti sull’origine del mondo. Dan Everett dice che non hanno una memoria collettiva che si estende oltre una o due generazioni. Quando si fanno loro domande sull’origine del mondo, aggiunge, rispondono che “è sempre stato in questo modo”.

Foto: Chris Hondros/Getty Images