La sepoltura di Erich Priebke
Autorizzarla non è un'offesa irreparabile, scrive Adriano Sofri su Repubblica, e vietarla è la soluzione sbagliata
Adriano Sofri ha commentato giovedì su Repubblica il problema della sepoltura del corpo dell’ex ufficiale nazista Erich Priebke, morto a 100 anni venerdì scorso. Dopo molte polemiche, e dopo gli scontri tra manifestanti e polizia ai funerali tenuti ad Albano, in provincia di Roma, il corpo di Priebke è stato portato due notti fa all’aeroporto militare di Pratica di Mare. Alcuni, come il direttore del Centro Wiesenthal di Gerusalemme, hanno chiesto che il corpo venga cremato e che le ceneri vengano sparse da qualche parte, magari nel Mediterraneo, per evitare che il luogo della sepoltura diventi una meta di pellegrinaggio. Sofri spiega perché, nonostante la sua pietà nei confronti di Priebke sia negli anni «esaurita», vietare la sepoltura non può essere la soluzione, e al contrario può creare solo ulteriori malintesi.
Per anni il vecchio nazista ha vissuto e camminato per le strade di un quartiere romano senza subire alcun tipo di offese o di azioni violente. C’erano i mezzi per impedire che questa vicenda divenisse occasione di richiamo e visibilità per tutti quelli che difendono l’infamia. Seppellire i carnefici senza dimenticare.
Non sappiamo niente degli altri. Dobbiamo immaginarli, e abbiamo un solo modo: immaginarli per somiglianza o per differenza da come siamo noi, da quello che crediamo di sapere di noi stessi. Parecchi anni fa, fui costretto a immaginare Priebke. Immaginai che, per vanità e per cattiveria, sarebbe vissuto fino a cent’anni, che sarebbe stata la sua vendetta: l’ottusità del male ha molto di cui vendicarsi.
Che dovesse vendicarsi dei suoi giudici, dei suoi accusatori, del disprezzo della gente, ma soprattutto delle sue vittime. Era un vecchissimo nazista che sarebbe diventato un campione di longevità pur di non perdonare le proprie vittime. Non se ne parlava quasi più, di Priebke, tranne qualche sporadica ed effimera fiammata. Qualcuno distrattamente domandava: «Ma è ancora vivo?». Qualcun altro rispondeva: «Credo di sì, dev’essere ancora vivo».
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