Perché Napolitano testimonierà sulla trattativa Stato-mafia
Ricapitoliamo l'inchiesta e cosa c'entra il Presidente della Repubblica
La Corte di Assise di Palermo ha ammesso il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, tra i testimoni del processo per la cosiddetta “trattativa Stato-mafia”. La richiesta era stata presentata dalla Procura di Palermo, che chiede di sentire Giorgio Napolitano a causa di alcune frasi scritte dall’allora consigliere giuridico del Quirinale Loris D’Ambrosio in una lettera del 18 giugno 2012.
Come ricorda oggi Repubblica, la lettera, indirizzata a Napolitano, è stata pubblicata dal Quirinale nel volume “La Giustizia. Interventi del Capo dello Stato e Presidente del CSM 2006-2012”. In un passaggio molto generico e poco esplicito della lettera, D’Ambrosio esprimeva il “timore” di “essere stato considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi, e ciò nel periodo fra il 1989 e il 1993”. Tutto il volume è disponibile in PDF e la lettera si trova alle pagine 143-145. Loris D’Ambrosio è morto per un infarto alla fine di luglio 2012.
L’ufficio stampa della presidenza della Repubblica ha risposto con una breve nota in cui si dice che “si è in attesa di conoscere il testo integrale dell’ordinanza di ammissione della testimonianza adottata dalla Corte di Assise di Palermo per valutarla nel massimo rispetto istituzionale”.
Il processo per la cosiddetta “trattativa Stato-mafia” dura da tempo ed è stato al centro di molte polemiche. L’ipotesi dei magistrati della procura di Palermo responsabili delle inchieste – a partire dalle dichiarazioni di alcuni mafiosi – è che dopo le stragi del 1992 e 1993 lo Stato abbia cercato di giungere ad un accordo che avrebbe previsto la fine della stagione stragista in cambio di un’attenuazione delle misure detentive previste dall’articolo 41 bis, un provvedimento di “carcere duro” per combattere le associazioni mafiose. Gli imputati sono diversi boss mafiosi, gli ufficiali delle forze dell’ordine Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno e alcuni politici, tra cui l’ex ministro dell’Interno tra il 1992 e il 1994 Nicola Mancino, oggi 82enne, che è stato anche vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura tra il 2006 e il 2010.
Tra la fine del 2012 e l’inizio del 2013 il processo ha causato uno scontro istituzionale tra Napolitano e la Procura di Palermo. Il problema era nato quando, intercettando l’ex ministro Mancino, la procura di Palermo intercettò anche Giorgio Napolitano: si pose quindi la questione se il presidente della Repubblica in carica potesse essere intercettato o se le sue comunicazioni dovessero essere eliminate subito, a prescindere dal contenuto. Ai primi di dicembre, la Corte costituzionale l’aveva risolta accogliendo il ricorso dello stesso Napolitano e ordinando la distruzione delle intercettazioni.
Durante le udienze, il pubblico ministero Nino Di Matteo aveva chiesto diverse volte di sentire Napolitano come testimone, l’ultima volta a fine settembre: ha argomentato la richiesta dicendo che Napolitano è l’unico che può chiarire il senso delle parole di D’Ambrosio. La lista dei testimoni che la Procura ha richiesto di sentire è molto lunga e include circa 180 persone. Oltre a Napolitano c’è anche l’attuale presidente del Senato Piero Grasso. Le prossime due udienze si terranno il 24 ottobre e il 7 novembre, quando verranno sentiti i primi quattro testimoni (Napolitano e Grasso non sono tra questi).
Foto: Andreoli Emilio – LaPresse