Quindi gli Stati Uniti rischiano il default?
Oltre allo shutdown, c'è un'altra scadenza importante per i conti pubblici americani: senza il superamento del tetto del debito si rischiano guai seri
Mercoledì 16 ottobre il governo americano è entrato nel quindicesimo giorno di shutdown, la chiusura di tutte le attività non essenziali, provocata dalla mancata approvazione della legge finanziaria da parte del Congresso. Ma in questi giorni c’è un’altra scadenza molto importante che riguarda le finanze pubbliche americane: il superamento del tetto del debito, che potrebbe avere conseguenze molto più gravi per l’intera economia mondiale.
Cos’è il tetto del debito
Alla base del problema del tetto del debito (debt ceiling) c’è il fatto che, dai primi del Novecento, la cifra massima dei soldi che il governo degli Stati Uniti può prendere in prestito per spenderli è fissata dalla legge. Dato che si tratta di una cifra assoluta – attualmente 16.699 miliardi di dollari – deve essere periodicamente alzata, poco prima di venire raggiunta, con una legge approvata dal Congresso. Dal 1960 a oggi, il Congresso è intervenuto 78 volte – oltre una volta all’anno – per intervenire sul tetto del debito, a volte alzandolo, altre rivedendo la definizione di “limite del debito”, altre ancora rimandando qualche scadenza.
Un aspetto fondamentale è che, una volta fissata la cifra assoluta, il meccanismo del debt ceiling non entra nel merito di come quei soldi vadano spesi e non impedisce neppure che il governo faccia promesse di spesa che superano il limite. In altre parole, il tetto del debito non impedisce di spendere in futuro: impedisce di pagare le vecchie spese che sono già state autorizzate. Il sito del ministero del Tesoro americano – quello che si occupa specificamente di prendere a prestito i soldi – spiega:
Il limite del debito è il totale del denaro che il governo degli Stati Uniti è autorizzato a prendere in prestito per onorare i suoi obblighi legali esistenti, tra cui le spese per la Sicurezza Sociale e il Medicare, gli stipendi dei militari, il pagamento degli interessi sul debito, i rimborsi delle tasse e altri. Il limite del debito non autorizza automaticamente nuovi obblighi di spesa. Permette solo al governo di finanziare obblighi legali esistenti che i Congressi e i presidenti di entrambi i partiti hanno fatto in passato.
Caso unico
Un meccanismo come quello del tetto del debito americano non esiste in nessun altro paese del mondo. Fu creato dal Congresso a partire da una legge del 1917, il Second Liberty Bond Act, e poi consolidato con una serie di altre leggi fino alla fine degli anni Trenta. Nel 1917, gli Stati Uniti erano impegnati nella Prima guerra mondiale e avevano bisogno di finanziare le loro spese: con i vari Liberty Bond Acts permisero al ministero del Tesoro di emettere titoli di stato a scadenza piuttosto lontana nel futuro e a interessi relativamente bassi. Prima di allora, il governo americano si era servito solo di titoli a breve scadenza e per necessità specifiche, come ad esempio finanziare la costruzione del canale di Panama. I Liberty Bonds furono un successo presso il grande pubblico – sottoscriverli diventò una questione di patriottismo – e le leggi collegate diedero per la prima volta al Congresso il potere di controllare l’ammontare complessivo della spesa del governo.
Quando viene raggiunto
Il limite attuale è stato fissato a 16.699 miliardi di dollari il 19 maggio 2013, con una legge che lo alzava di 305 miliardi rispetto al limite precedente. Tra febbraio e maggio, però, il meccanismo del tetto del debito era stato sospeso con una legge del Congresso: il 20 maggio, quindi, quando il limite tornò in funzione, il debito totale del governo americano ammontava già più o meno a quella cifra.
Il raggiungimento del limite era già avvenuto in passato e il Tesoro è passato quindi alle cosiddette “misure straordinarie”: una serie di complessi procedimenti di finanza pubblica che permettono di trovare i soldi per rispettare le scadenze rimanendo al di sotto del limite massimo.
Ma anche le misure straordinarie finiscono, e questo è il punto a cui si sta arrivando ora. Tra la fine di settembre e i primi di ottobre, il ministro del Tesoro americano Jacob J. Lew ha inviato la tradizionale lettera ai leader del Congresso con cui li avvisa che il raggiungimento del limite del debito è vicino e che quindi è necessario un intervento legislativo.
La data fissata da Lew, la cosiddetta “data X” per la stampa americana, è giovedì 17 ottobre. È probabile che la data passi senza che avvengano catastrofi: più che un limite preciso, si tratta di un allarme che segnala che il tempo rimasto a disposizione prima di conseguenze molto gravi è pochissimo. Secondo alcuni, il Tesoro avrebbe la possibilità di non prendere misure drastiche ancora per qualche settimana. Queste, ad ogni modo, sono le prossime scadenze:
– 23 ottobre: 12 miliardi di dollari per la Sicurezza sociale;
– 31 ottobre: 6 miliardi per il pagamento degli interessi sui titoli di Stato emessi in precedenza; scadenza ultima per 3 miliardi di stipendi dei dipendenti federali e 2 miliardi dovuti a beneficiari del Medicare;
– 1 novembre: 58 miliardi tra Sicurezza sociale e disabili, Medicare e stipendi delle forze armate; secondo molti, non ci saranno abbastanza entrate tra il 17 ottobre e il 1 novembre per rispettare questa scadenza;
– 14 novembre: 12 miliardi per la Sicurezza sociale;
– 15 novembre: 29 miliardi per il pagamento degli interessi sui titoli di Stato.
Oltre la “data X”
Non è mai accaduto nella storia americana che il Tesoro arrivasse ad esaurire le misure straordinarie. Senza più nessuna possibilità di prendere soldi a prestito o di fare qualche artificio contabile, il Tesoro avrà a disposizione per effettuare i pagamenti solamente le sue riserve di liquidità, che stima in circa 30 miliardi di dollari, oltre ai soldi che arrivano dalle tasse e dalle altre entrate correnti.
Visto che si tratta di una circostanza mai verificatasi in passato, nessuno sa di preciso che cosa succederà quando il governo degli Stati Uniti avrà letteralmente finito i soldi per pagare. In una prima fase, molto probabilmente, il Tesoro comincerà a non rispettare più tutte le scadenze non essenziali e a tagliare le spese fino a raggiungere il livello in cui è sicuro di potersi finanziare solo con le entrate fiscali o di altro tipo che riceve ogni mese: secondo le previsioni, i tagli saranno complessivamente del 20 per cento. Per fare un paragone, se lo shutdown attualmente in corso durasse un anno il taglio complessivo sarebbe del 5 per cento circa della spesa pubblica totale. Tutti i commentatori sono concordi nel dire che la conseguenza ultima del mancato innalzamento del debito è una grave recessione negli Stati Uniti, con aumento dell’inflazione e perdita di molti posti di lavoro.
Il default
Le spese del governo degli Stati Uniti sono molto varie – stipendi, servizi sociali e sanitari – e ridurre o ritardare una serie di pagamenti causerà sicuramente un effetto negativo nell’arco di poche settimane. L’opinione pubblica americana comincerà altrettanto sicuramente a rumoreggiare e si comincerà a parlare più spesso di soluzioni estreme, come la possibilità – che in passato l’amministrazione Obama ha scartato – che il presidente abbia il potere di alzare il tetto del debito unilateralmente (una mossa simile causerebbe un conflitto istituzionale con pochi precedenti tra il presidente e il Congresso). Oltre a questo c’è la conseguenza probabilmente più grave per l’intera economia mondiale, che riguarda il debito pubblico americano detenuto all’estero.
Una parte importante dei titoli di Stato americani è infatti detenuta da cittadini, governi, fondi e società straniere. La questione diventa quindi: il Tesoro ha la priorità di pagare gli interessi sul debito o quella di pagare gli stipendi dei soldati o gli assegni della previdenza sociale? La risposta non è così chiara, perché tutti i pagamenti obbligatori hanno legalmente la stessa priorità.
Nella peggiore delle ipotesi, gli Stati Uniti potrebbero dichiarare l’incapacità di pagare il dovuto sui propri titoli di Stato, il senso più classico dell’espressione “fare default“. Bisogna dire che questa possibilità è davvero remota, perché un default degli Stati Uniti d’America sarebbe per l’economia mondiale l’equivalente bellico di un’esplosione atomica, solo peggio. Il sistema finanziario mondiale, infatti, tende a rifugiarsi nei buoni del Tesoro americano come investimento sicuro per eccellenza: se le cose stanno andando male per qualsiasi motivo, i grandi investitori di tutto il mondo comprano titoli di stato americani (questo è il senso dell’espressione che il dollaro è “la valuta di riserva” mondiale per eccellenza). Molto prima di un vero e proprio default degli Stati Uniti sul debito estero, non appena ne balenerà all’orizzonte la possibilità, i mercati finanziari internazionali cadranno nel panico.
La Cina, ad esempio, è il maggior investitore del mondo nel debito pubblico americano e ne possiede circa 1.300 miliardi di dollari. Un editoriale recente pubblicato dall’agenzia di stampa statale Xinhua ha detto che, vista l’incapacità della politica americana di raggiungere un accordo, la risposta deve essere quella di cominciare a costruire un mondo “de-americanizzato” e di smettere di considerare il dollaro come il porto sicuro degli investimenti mondiali. Ma come scrive il New York Times, al di là dei proclami, l’unica cosa che può fare concretamente la Cina è incrociare le dita.