Scrivere della politica italiana è inutile?
Se lo chiede Luca Ricolfi, ma continua a farlo, scorato e incorreggibile come tutti gli italiani
Luca Ricolfi, commentatore politico della Stampa, mette oggi a parte i lettori del suo disincanto per la politica italiana e per lo stesso scriverne.
È un po’ che non scrivo, è vero. La ragione più importante è che scrivere di politica, economia e società, come è mia abitudine, mi sembra sempre meno utile. O forse sarebbe meglio dire: è sempre stato abbastanza inutile, ma ora tale inutilità mi è ancor più chiara di prima.
Da dove viene questo sentimento?
Fondamentalmente da una constatazione: da vent’anni, in questo Paese «non muove foglia». Tutto è immobile e congelato. O forse sarebbe meglio dire: tutto cambia, ma gattopardescamente. Cambiano i governi, cambiano le mode, cambiano i palinsesti della tv, ma tutto avviene in modo che nulla di essenziale cambi davvero. Siamo il Paese più conservatore del mondo, o perlomeno così appaiamo ai miei occhi.
Anche la crisi, ormai entrata nel settimo anno, pare non averci insegnato nulla. La gente aspetta, come sotto un bombardamento, che passi la buriana. La classe politica si trastulla nella speranza di «agganciare la ripresa».
Il governo e i suoi ministri, da cui ci aspetteremmo parole chiare e decisioni coraggiose, si muovono come se fossero impegnati in una caccia al tesoro: «cerchiamo le coperture», «individueremo le risorse», «troveremo i soldi». Mai una vera scelta. Mai un discorso non retorico al Paese
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– Luca Sofri: Con la testa nella scatola