Cosa non torna dell’attacco al Westgate
Parecchio: il numero degli attentatori, la misteriosa storia della "vedova bianca" e l'apparente assenza di "ostaggi", tra le altre cose dell'attacco terroristico in Kenya
Sono passate tre settimane dall’attacco terroristico del gruppo estremista somalo al Shabaab al centro commerciale Nakumatt Westgate di Nairobi, in Kenya, ma quello che è successo durante i quattro giorni di assalto non è ancora del tutto chiaro. Le autorità kenyane hanno diffuso pochissime informazioni a riguardo e anche nei giorni successivi all’attacco i comunicati delle diverse agenzie governative sono risultati spesso in conflitto tra loro.
Quello che si sa per certo è che il 21 settembre scorso alcuni uomini armati hanno assaltato l’edificio del Westgate, uno dei centri commerciali più esclusivi di Nairobi, prendendo in ostaggio centinaia di persone: il bilancio finale ufficiale è di 72 morti e circa 200 feriti, ma è ragionevole pensare che il numero delle persone uccise sia molto superiore, visto che quello comunicato è fermo praticamente ai giorni dell’attacco, quando ancora non erano terminate le operazioni di soccorso nell’edificio. Il sito di news statunitense NBC ha messo insieme le cose che si sanno, e ha spiegato per punti quello che non è ancora chiaro dopo tre settimane dalla fine dell’attacco.
La prima cosa poco chiara riguarda il numero e l’identità degli attentatori. Durante i giorni dell’attacco il governo del Kenya ha detto – e poi confermato – che all’interno del Westgate c’erano tra i 10 e i 15 terroristi. Di questi, secondo fonti ufficiali 5 sono stati uccisi (anche se i corpi non sono stati mostrati ai media), mentre altri 11 sono stati arrestati dalla polizia kenyana. Della maggior parte di questi sospetti, però, non si hanno notizie certe: sembra che gli 11 arrestati non si trovassero nemmeno nell’edificio al momento dell’attacco e che alcuni di essi sian stati rilasciati dopo avere passato diversi giorni in prigione. Nelle ore finali dell’assalto diversi giornalisti stranieri sul posto scrissero che alcuni degli attentatori erano riusciti a scappare travestendosi da donne e mischiandosi tra gli ostaggi che lasciavano l’edificio.
Una delle storie più misteriose dell’attacco al Westgate riguarda la presunta ricerca della cosiddetta “vedova bianca”, Samantha Lewthwaite, di cui si sono occupati i giornali di mezzo mondo nei giorni successivi all’attacco. Lewthwaite è una donna britannica convertita all’islam il cui marito, Germaine Lindsay, fu uno dei tre attentatori suicidi responsabili delle bombe di Londra, il 7 luglio 2005. Persino l’Interpol aveva diramato un avviso “red notice” per l’arresto di Lewthwaite, considerata tra le altre cose coinvolta in un attentato terroristico compiuto vicino a Mombasa, in Kenya, nel 2011.
Diversi testimoni sopravvissuti all’attentato del Westgate hanno raccontato di avere visto una donna bianca armata tra gli uomini armati, e altri hanno confermato alla polizia che nei giorni precedenti all’attacco una donna bianca era entrata più volte nel centro commerciale portando pacchi e borse di vario tipo (secondo le ricostruzioni successive, le armi e gli esplosivi usati dai terroristi si trovavano già all’interno dell’edificio). Di Lewthwaite però non si sa nulla: l’Interpol non è riuscita a localizzarla e non si è fatta chiarezza sull’identità della donna bianca che avrebbe partecipato all’attentato.
Diversi giornalisti e testimoni hanno riferito che nei quattro giorni dell’assalto c’è stata grande confusione – e parecchia tensione – tra le diverse unità delle forze di sicurezza kenyane. Le stesse operazioni anti-terrorismo sono state portate avanti con scarso coordinamento: i primi ad arrivare sono stati i poliziotti, poi i paramilitari, e dopo diverse ore l’esercito. I comandanti delle diverse unità, scrive NBC, non sarebbero stati d’accordo sulla strategia da seguire, e per questo alcune persone sarebbero state uccise dal “fuoco amico”, e le operazioni di soccorso sarebbero state rallentate di diverse ore.
Molti dubbi rimangono anche sulla possibilità che siano stati presi effettivamente degli “ostaggi” durante l’attacco. Nessuno dei sopravvissuti che ha parlato con la stampa ha raccontato di essere stato per un certo periodo di tempo “ostaggio” dei terroristi: tutti raccontano di fughe per le sale e i corridoi del centro commerciale, ma nessuno sarebbe stato in presenza dei terroristi, minacciato in qualche modo direttamente da loro.
Probabilmente il governo kenyano non rilascerà alcun rapporto dettagliato su quanto accaduto nei quattro giorni dell’attacco terroristico al Westgate, anche se il presidente Uhuru Kenyatta ha promesso di fare chiarezza. Il livello di fiducia dei kenyani nel governo, spiega NBC, è molto basso, come lo è quello di molti paesi e istituzioni occidentali: sia Kenyatta che il vicepresidente del Kenya, William Ruto, sono accusati dalla Corte Penale Internazionale di avere commesso crimini contro l’umanità durante le elezioni presidenziali del 2007 e recentemente entrambi hanno chiesto che il Kenya esca dalla giurisdizione del tribunale internazionale.