JP Morgan è in perdita
È la più grande banca degli Stati Uniti e non succedeva dal 2005: la colpa è dei soldi messi da parte per le cause legali
Per la prima volta dal 2004, JP Morgan Chase, la più grande banca degli Stati Uniti e la seconda più grande del mondo, ha pubblicato un bilancio trimestrale in perdita. La perdita è dovuta a una manovra straordinaria: la banca ha deciso di accantonare 9 miliardi di dollari (6,6 miliardi di euro) per aumentare la sua riserva da utilizzare in caso di controversie legali.
Una serie di casi con il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, infatti, potrebbe costringere la banca a pagare fino a 11 miliardi di dollari (8 miliardi di euro) per evitare di essere portata in tribunale. Si tratta della prima perdita che la banca affronta da quando nel 2005 Jamie Dimon è diventato CEO della società (Chief executive officer, una carica che corrisponde più o meno a quella dell’amministratore delegato).
Nessun’altra banca di Wall Street e pochissime istituzioni finanziarie negli Stati Uniti e in Europa sono riuscite ad affrontare gli anni della crisi economica senza riportare nemmeno un singolo trimestre in perdita. Dimon ha dichiarato che non si aspettava di dover registrare una perdita a bilancio e ha commentato: «Non mi piace perdere soldi».
L’accantonamento dei 9 miliardi di dollari ha portato nel terzo quarto del 2013 a una perdita per la banca di 380 milioni di dollari (280 milioni di euro) e quindi a una perdita di 17 centesimi per ogni azione. Un anno fa, nel terzo trimestre del 2012, la banca aveva avuto un utile di 5,7 miliardi di dollari (4,2 miliardi di euro). Gli analisti si attendevano per questo trimestre un dividendo di un dollaro per azione.
Le controversie legali che hanno colpito la società risalgono al periodo della crisi economica. Nel marzo del 2008 JP Morgan acquistò Bear Sterns, all’epoca la quinta banca d’affari di Wall Street, subito dietro Lehman Brothers. Bear Sterns fu la prima banca a fallire quando cominciarono i primi segni di quella che sarebbe stata la crisi dei mutui subprime legata al mercato dei derivati. Pochi mesi dopo JP Morgan acquistò anche la Washington Mutual, una società che erogava mutui.
Al momento gli investigatori del Dipartimento di Giustizia stanno indagando sulla possibilità che Bear Sterns e Washington Mutual abbiano fornito informazioni fuorvianti ai loro clienti sulle obbligazioni garantite da mutui, durante i mesi che precedettero lo scoppio della crisi.
All’epoca «non eravamo completamente stupidi», ha detto Dimon sostenendo che JP Morgan ha chiesto di non essere perseguita per gli errori commessi dalle due società prima che venissero acquisite. Dimon ha confessato che non immaginava che difendersi dai problemi ereditati da Bear Sterns e pagare per gli errori del management di Washington Mutual sarebbe costato così tanto alla società. «Ma questo non impedisce alla gente di venirti a cercare», ha aggiunto: «Quindi: lezione imparata».
È probabile che JP Morgan troverà un accordo con il Dipartimento di Giustizia prima di arrivare in tribunale. Se l’accordo arriverà agli 11 miliardi di dollari in cui si parla in questi giorni, sarà il più grande accordo sottoscritto dal Dipartimento di Giustizia nella sua storia.
JP Morgan è comunque una società ancora stabile. Il suo fondo per ripagare eventuali controversie legali è di 23 miliardi di dollari (16 miliardi di euro), una cifra superiore al valore di mercato di due terzi delle 500 più grandi società quotate alla Borsa di New York.
Se la banca non avesse dovuto accantonare 9 miliardi di dollari di riserve, in questo trimestre JP Morgan avrebbe totalizzato 5,8 miliardi di dollari di utili e avrebbe pagato agli azionisti un dividendo di quasi 1,5 dollari per azione. Dimon ha detto che in seguito a questa perdita non ci saranno cambi nel management della banca e uno dei dieci principali azionisti della banca, citato dal Financial Times, ha dichiarato che difficilmente quanto accaduto potrà cambiare l’opinione su Dimon, e cioè che «JP Morgan è una delle banche meglio gestite del mondo». A maggio fu presentata una mozione nell’assemblea degli azionisti per costringere Dimon ad abbandonare la carica di presidente (chairman) che ricopre da alcuni anni insieme a quella di CEO, ma fu battuta con il 60 per cento dei voti contrari.