Cosa si dice di Paul Kagame
Il presidente del Ruanda è stato a lungo adottato dall'Occidente come modello, ma le accuse contro i suoi modi autoritari crescono
di Antonio Russo – @ilmondosommerso
Il Ruanda è grande più o meno come la Sicilia (e ha più del doppio della popolazione della Sicilia) ed è uno dei più piccoli, più poveri e più densamente popolati stati dell’Africa. La sua storia recente è stata segnata da quello che viene unanimemente ritenuto uno dei più terribili genocidi della storia, e probabilmente il più rapido: nel 1994, in seguito all’assassinio del presidente di etnia hutu Juvénal Habyarimana, gruppi estremisti hutu massacrarono – nel giro di tre mesi, e prevalentemente a colpi di machete o a mazzate – tra 800 mila e 1 milione di ruandesi di etnia tutsi (ma anche hutu più moderati) di ogni sesso ed età. Paul Kagame era a capo delle milizie tutsi che deposero allora il governo e fermarono il massacro, e divenne prima vicepresidente – in un governo provvisorio – e poi presidente, democraticamente eletto nel 2003 e poi rieletto nel 2010. Lo scorso 16 settembre, la coalizione guidata dal Fronte Patriottico Ruandese – cioè il partito di Kagame, il cui secondo e ultimo mandato terminerà nel 2017 – ha vinto le elezioni legislative con il 76 per cento dei voti.
Pur essendo apprezzato in Occidente da autorevoli esponenti politici per le sue qualità di leader e per i recenti progressi del Ruanda in ambito economico, politico e sociale, Kagame è un leader molto controverso, spesso screditato dalla stampa e dalle organizzazioni internazionali per i suoi metodi repressivi e intimidatori, e per i suoi mai del tutto chiariti rapporti con le milizie estremiste congolesi, protagoniste di uno dei conflitti civili più sanguinari dei giorni nostri.
Jeffrey Gettleman – che è un giornalista del New York Times vincitore del premio Pulitzer nel 2012 – è andato a Kigali, la capitale del Ruanda, per intervistare Paul Kagame, e in un lungo articolo per il supplemento domenicale del NYT ha poi messo insieme tutto quello che si sa e che si dice sul conto di Kagame.
Chi è Kagame?
Paul Kagame ha 55 anni. È nato in una famiglia tutsi ed è cresciuto in Uganda, in un rifugio per le vittime dei conflitti etnici: i tutsi furono uccisi a migliaia o costretti alla fuga nel 1959, quando la maggioranza etnica hutu salì al potere dopo secoli di monarchia tutsi. A Gettleman Kagame ha raccontato che la sua “coscienza politica” nacque quando aveva dodici anni e viveva ancora nel campo in Uganda, e chiese al padre: «perché siamo dei rifugiati? perché siamo qui? che abbiamo fatto di male?». Kagame si unì a un gruppo di ribelli in Uganda, e poi – dopo aver frequentato per un breve periodo una scuola militare di Fort Leavenworth, in Kansas (Stati Uniti) – tornò in Ruanda nel 1990 e si mise a capo delle milizie tutsi che nel 1994 fermarono il genocidio e sovvertirono il governo hutu.
Gettleman descrive Kagame come un tipo austero, “stoico” e preciso: è fissato con le nuove tecnologie, ha un account Twitter, e sembra «meno interessato alle ideologie e molto più interessato a far funzionare le cose». Solitamente resta sveglio fino alle due o alle tre del mattino a sfogliare i numeri arretrati dell’Economist o a studiare nuovi piani per risollevare i villaggi periferici e arretrati del Ruanda, per i quali il governo riceve annualmente miliardi di dollari di donazioni da molti paesi occidentali.
La reputazione internazionale di Kagame
Kagame partecipa da anni al World Economic Forum di Davos (l’incontro annuale tra leader sui temi di economia e finanza), è amico di personaggi celebri come Bill Gates e Bono Vox, è stimato e rispettato da politici illustri come l’ex primo ministro britannico Tony Blair, che una volta lo definì un grande «leader visionario». Nel 2009 ha ricevuto un premio dalla Clinton Global Initiative, la fondazione dell’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, che lo considera «uno dei più grandi leader dei nostri tempi» e che, in occasione di quella premiazione, disse di Kagame: «ha liberato il cuore e la mente del suo popolo».
(La visita di Paul Kagame in Francia)
Se paragonato a molti altri presidenti africani, scrive il New York Times, Kagame appare certamente un leader migliore di Robert Mugabe, che ha portato al dissesto un paese prosperoso come lo Zimbabwe, o di Joseph Kabila, il presidente della Repubblica Democratica del Congo, che «si dice trascorra il tempo giocando ai videogame, mentre il paese cade a pezzi».
I meriti del governo Kagame
Tra i meriti largamente riconosciuti a Kagame c’è quello della lotta alla povertà. Pur essendo ancora un paese molto povero (un cittadino ruandese vive mediamente con circa un euro al giorno), il Ruanda lo è meno che in passato: l’economia è cresciuta mediamente dell’otto per cento ogni anno, negli ultimi cinque anni. Durante il governo Kagame la mortalità infantile si è ridotta del 70 per cento, e lo stesso Kagame ha promosso in Ruanda un programma di assistenza sanitaria che molti esperti in Occidente – ricorda il NYT – consideravano una misura non attuabile negli stati africani poveri. Dal 2005 al 2011 le morti causate dalla malaria sono scese dell’85 per cento, e l’aspettativa di vita è oggi di 56 anni, contro i 36 del 1994.
Kagame ha anche fatto installare reti a fibra ottica, investito in fonti di energia ecosostenibili, costruito centinaia di nuove scuole. «In uno stato povero e analfabeta le persone rimangono esposte a ogni genere di manipolazione, ed è così che noi abbiamo vissuto», disse Kagame a Chris McGreal, in una conversazione per un lungo articolo dello scorso maggio, sul Guardian: «ed è più facile raccontare a una persona povera: sai cosa? se sei povero e sei affamato è perché quell’altro ha portato via i tuoi diritti».
Nel corso degli anni, Kagame si è inoltre impegnato molto a favore della presenza delle donne in politica, e oggi il Ruanda ha la percentuale di donne in parlamento più alta di tutta l’Africa. Ma molti estimatori di Kagame gli riconoscono soprattutto il merito di aver progressivamente dissipato le rivalità etniche che innescarono il genocidio del 1994 in Ruanda e che ancora oggi sono alla base di altre guerre civili nel resto del continente.
In un articolo di febbraio 2012, L’Economist paragonò il Ruanda alla Repubblica di Singapore in riferimento ai recenti progressi in ambito economico e, in genere, all’atipicità del Ruanda rispetto agli stati africani confinanti. Pur lodando l’impegno del governo contro la corruzione, l’Economist sottolineava però le profonde contraddizioni interne del Ruanda e dipingeva Kagame come una figura molto ambigua, peraltro temutissima dai suoi avversari politici.
Kigali e i “centri di riabilitazione”
Gettleman dice di essere rimasto particolarmente impressionato dall’ordine e dalla pulizia delle strade di Kigali, e che tutto questo è tanto più straordinario se si considera che il Ruanda è ancora una delle nazioni più povere al mondo. A Kigali, scrive il New York Times, i quartieri degradati non esistono perché il governo non lo permette: vagabondi, venditori ambulanti e piccoli delinquenti di strada sono stati inseriti in un piano di “rieducazione” lanciato nel 2010.
Alcuni di loro, a seconda dei casi, vengono trasferiti in un “centro di riabilitazione” nell’isola di Iwawa, al centro del lago Kivu, che alcune autorità chiamano scherzosamente le Hawaii e che alcuni ruandesi chiamano Alcatraz. In passato i familiari di alcuni ragazzi deportati a Iwawa hanno denunciato le cattive condizioni – in particolare la cattiva alimentazione – dei ragazzi nel centro di recupero.
Le accuse contro Kagame
Kagame è un personaggio spesso e da più parti criticato per il carattere totalitario del suo governo e per le presunte intimidazioni nei confronti dei suoi rivali politici. Nel 2003 vinse le prime elezioni presidenziali con il 95 per cento dei voti; poi, nel 2010, rivinse con il 93 per cento, mentre due dei leader dei tre principali partiti di opposizione si trovavano in prigione, e il terzo era fuggito dal Ruanda dopo che il suo vice, André Kagwa Rwisereka, era stato trovato morto e parzialmente decapitato in riva a un fiume.
Stando alla costituzione ruandese adottata nel 2003, il secondo mandato settennale di Kagame terminerà nel 2017, e non potrà essercene un terzo, ma in molti temono che Kagame stia cercando di influenzare il Parlamento per spingerlo a modificare quella parte della Costituzione e permettergli di candidarsi per la terza volta consecutiva.
Le altre critiche a Kagame riguardano principalmente le sue politiche repressive, dice Gettleman, e i suoi metodi «spietati e brutali». Il governo ha avviato un piano di abbattimento delle capanne con i tetti di paglia (il tipo di abitazione in cui è nato lo stesso Kagame), oltre che un programma di vasectomia gratuita per cercare di arrestare l’aumento demografico. La crescita economica è stata accompagnata da una forte limitazione delle libertà personali dei cittadini ruandesi, favorita anche dalla relativa facilità di controllo di uno stato tanto piccolo. Poche persone parlano volentieri del loro presidente, e molti dicono di sentirsi continuamente osservati: «è come se ci fosse un occhio invisibile dappertutto», ha detto Alice Muhirwa, membro di un partito di opposizione. In alcune parti del paese è vietato indossare abiti sporchi o bere dalla stessa cannuccia, perfino in casa propria, perché il governo lo considera un comportamento “antigienico” e interviene anche su questo.
Gettleman racconta di aver visto persone che si inginocchiano, chiudono gli occhi e pregano, davanti ai numerosi e giganteschi ritratti di Kagame sparsi negli uffici pubblici e sui muri degli edifici a Kigali. Un anziano in un villaggio gli ha detto: «l’ottanta per cento delle persone sostengono Kagame, il rimanente venti per cento no, ma non parla perché ha paura».
I rapporti dell’ONU
Nel corso degli anni Kagame è stato più volte oggetto di critiche internazionali per la posizione assunta dal Ruanda nella difficile situazione nella Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire). Nel 2010 un rapporto delle Nazioni Unite sostenne l’ipotesi – più volte smentita dal governo Kagame – del coinvolgimento delle milizie del Ruanda nel massacro di decine di migliaia di hutu nella RDC, negli anni successivi al genocidio ruandese del 1994.
Nel 2012, un altro rapporto svelò il sostegno militare di Ruanda e Uganda a favore dei ribelli del gruppo “M23” – principalmente composto da milizie di etnia tutsi –, nei conflitti etnici ancora in corso nella Repubblica Democratica del Congo. Un altro rapporto ONU del 2002, peraltro, accusava l’esercito ruandese di avere sottratto risorse minerarie proprio al Congo, traendone notevoli profitti. In tutte le occasioni, Kagame ha sempre negato qualsiasi coinvolgimento del Ruanda: a Gettleman ha detto che qualsiasi militare ruandese mai coinvolto nel conflitto in Congo era tuttalpiù un disertore dell’esercito nazionale.
Perché Kagame è benvisto in Occidente?
In passato gli Stati Uniti hanno spesso allacciato rapporti con leader africani controversi o anche notoriamente spietati in nome di interessi economici o ragioni storiche più importanti, scrive Gettleman, ma ciò che li ha spinti a esprimere simpatie nei confronti di Kagame è molto meno chiaro: il Ruanda è un paese piccolissimo, nel cuore dell’Africa, senza grandi risorse e senza terroristi islamici. Un diplomatico ruandese – che ha chiesto di rimanere anonimo – ha detto a Gettleman che Kagame è diventato per l’Occidente un personaggio simbolico, e la sua leadership un modello da esibire come prova del successo degli aiuti internazionali in un continente altrimenti caratterizzato da grandi insuccessi e da una corruzione dilagante: «serviva una storia di successo, e lui lo era».
Tuttavia, in seguito ai rapporti ONU che denunciavano la partecipazione dell’esercito ruandese nel genocidio congolese, nel 2012 gli Stati Uniti tagliarono 200 mila dollari di aiuti militari al Ruanda (una cifra più simbolica che sostanziale), e i rapporti tra Kagame e i paesi occidentali si sono progressivamente raffreddati. Lo stesso Kagame, in tempi recenti, ha accusato la comunità internazionale di aver posto – tramite bugie e speculazioni – le basi per un “linciaggio diplomatico” del Ruanda, come unico responsabile della situazione congolese.
I dissidenti ruandesi
Gettleman scrive che, durante la conversazione, Kagame è diventato improvvisamente nervoso quando gli è stato chiesto del crescente numero di dissidenti ruandesi. Il più temuto da Kagame si chiama Kayumba Nyamwasa: trent’anni fa erano amici in Uganda, e – come Kagame – anche Nyamwasa si unì ai ribelli tutsi, prima di diventare capo di stato maggiore dell’esercito ruandese. Gettleman ha parlato anche con Nyamwasa, che oggi vive in Sudafrica: scappò a Johannesburg nel 2010, sentendosi minacciato dal governo dopo aver espresso delle critiche nei confronti di Kagame. Come altri dissidenti ruandesi, anche lui contesta da tempo l’arroganza di Kagame, i suoi metodi repressivi e la sua sventatezza nell’aver coinvolto il Ruanda nelle faccende congolesi.
A pochi mesi dal suo arrivo in Sudafrica, mentre rientrava a casa, Nyamwasa fu colpito allo stomaco da un uomo che gli sparò, ma la pistola si inceppò prima che potesse sparare ancora e Nyamwasa riuscì a cavarsela: sei persone oggi sono sotto processo a Johannesburg per quell’attentato, e tre di loro sono ruandesi. Nyamwasa ha detto a Gettleman di non avere alcun dubbio sul mandante di quell’aggressione: Kagame.
Molti altri dissidenti sostengono l’esistenza di una rete di intelligence internazionale e di assassini al servizio di Kagame, sparsi ovunque. Nel marzo del 2011, in Inghilterra, mentre Kagame era ospite di una trasmissione radiofonica della BBC, Rene Claudel Mugenzi – un attivista ruandese per i diritti umani, residente a Londra – telefonò in studio e chiese provocatoriamente a Kagame se una rivolta come quella delle primavere arabe sarebbe potuta nascere anche in Ruanda. Qualche settimana più tardi, Mugenzi ricevette una lettera di Scotland Yard in cui c’era scritto: «signor Mugenzi, attendibili servizi di intelligence affermano che il governo ruandese stia mettendo in pericolo la sua vita». «Non avrei mai immaginato che avrebbero cercato di uccidermi persino in Inghilterra», disse Mugenzi.
Parlando con Gettleman, Kagame si è difeso dicendo che Nyamwasa, Mugenzi e gli altri dissidenti speculano sulla falsa convinzione che in Africa non possa funzionare niente, e che tutti i governanti siano necessariamente degli oppressori. Nyamwasa invece ha detto a Gettleman di non lasciarsi ingannare dall’aspetto “cerebrale” di Kagame: «in guerra un sacco di cose vanno storte, ma Kagame ha sempre reagito con violenza», racconta Nyamwasa: «le sue stesse truppe lo temono e, in verità, lo odiano».
I metodi brutali di Kagame
Circolano alcuni racconti sui metodi utilizzati da Kagame con i suoi collaboratori, e Gettleman ne ha tirato fuori qualcuno con lo stesso Kagame, durante la loro conversazione. Un ex collaboratore e amico intimo di Kagame – David Himbara, che ha studiato alla Queen’s University di Kingston (Canada) e che oggi vive anche lui a Johannesburg – ha raccontato a Gettleman di aver assistito una volta, nel 2009, a un episodio “rivoltante”. Kagame chiamò nel suo ufficio due suoi subordinati (un direttore finanziario e un capitano dell’esercito) e cominciò a urlare contro di loro, chiedendogli dove avessero comprato le tende dell’ufficio. Poi gli ordinò di stendersi faccia a terra, e arrivarono due agenti con dei manganelli: Kagame cominciò a percuotere da solo i due, poi lasciò terminare il lavoro ai due agenti, che – dice Himbara – proseguirono quella violenza come se lo avessero già fatto altre volte.
Himbara pensa che alla base dei comportamenti violenti di Kagame ci sia una sostanziale insicurezza. Quando lavorava con lui, racconta, bisognava ogni volta trovare il modo di farlo apparire come l’artefice di qualsiasi idea. Una volta Himbara scrisse un discorso per lui, e Kagame gli si rivoltò contro dicendo: «pensi di essere più intelligente di me perché hai preso un dottorato in Canada? Sei un contadino! Vai e leggilo tu questo stupido discorso!». «No, signore, il presidente è lei» – dovette rispondergli Himbara, per calmarlo – «nelle mie mani questo è uno stupido prodotto di un contadino, ma nelle sue è qualcosa di speciale».
La versione di Kagame
Con Gettleman Kagame non ha negato l’episodio del 2009 raccontato da Himbara, ma ha detto che andò diversamente, che ebbe sì quella discussione con i suoi due uomini ma che non colpì nessuno: soltanto spinse uno di loro così forte da farlo cadere per terra. «È la mia natura», ha detto, «posso essere molto duro, posso commettere errori del genere». Poi, messo di fronte agli altri racconti che circolano su di lui, Kagame ha interrotto nervosamente Gettleman e gli ha chiesto di cambiare discorso.
A un certo punto, Gettleman gli ha anche chiesto di commentare le critiche che il presidente ricevette quando, per un viaggio a New York del 2011, si venne a sapere che aveva speso più di 15 mila dollari a notte per una suite presidenziale al Mandarin Oriental Hotel. Kagame gli ha risposto, stizzito: «sono stato in tenda e in trincea, non ho bisogno di lezioni da nessuno che venga a dirmi come vivere modestamente».
I rapporti con la stampa
Pochi giorni dopo la pubblicazione dell’articolo dell’Economist del febbraio 2012, la definizione “Singapore d’Africa” e il ritratto ambiguo del paese furono contestati in un editoriale del New Times, giornale ruandese pubblicato in lingua inglese, e in passato accusato di essere troppo filogovernativo e servile nei riguardi del presidente.
Nel 2010, Jean Leonard Rugambage – un giornalista ruandese che lavorava per un giornale locale già sospeso una volta dal governo – fu ucciso da due uomini che scapparono subito in macchina, lo stesso giorno in cui aveva pubblicato un articolo sui sospetti che il governo Kagame fosse coinvolto nel tentato omicidio del dissidente Nyamwasa, di pochi giorni prima. Per l’assassinio di Rugambage la polizia disse di non avere indiziati, mentre il capo del giornale di Rugambage accusò il governo ruandese (dall’Uganda, dove era fuggito già da qualche tempo in seguito alla sospensione del suo giornale).
Nel 2011, due giornaliste ruandesi – Agnes Uwimana Nkusi e Saidati Mukakibibi – furono condannate a diciassette e sette anni di carcere (poi ridotti a quattro e tre, nel 2012) per aver «insultato il presidente e messo a rischio la sicurezza nazionale» in alcuni articoli critici verso Kagame, pubblicati su un settimanale ruandese indipendente (Umurabyo, subito chiuso). Anche in merito alla condanna delle due giornaliste, il Committee to Protect Journalists – un’organizzazione non profit, con sede a New York, che difende la libertà di stampa e i diritti dei giornalisti nel mondo – criticò duramente il contesto dell’informazione in Ruanda, sostenendo che le autorità avevano punito “per vie legali” il giornalismo critico tramite l’abuso delle leggi contro i crimini di odio, «per zittire le voci indipendenti».
Gli hutu e i tutsi in Ruanda, oggi
Kagame, che è di etnia tutsi (lo è circa il 15 per cento della popolazione), in passato è stato molto criticato per aver stabilito delle leggi particolarmente severe contro l’incitamento all’odio etnico (definito “ideologia del genocidio”), e in genere – scrive il New York Times – contro qualsiasi azione «che miri a diffondere la malvagità» (persino «ridere delle sventure altrui»). L’applicazione di queste stesse leggi ha portato, nel corso degli anni, all’arresto di diversi suoi avversari politici e giornalisti critici verso il governo. «Rispetto alle voci che promuovono un ritorno alle divisioni etniche che provocarono il genocidio del ’94» – disse Kagame, rispondendo alle critiche, in un’intervista all’edizione statunitense di Metro – «poniamo limiti alla libertà di espressione proprio come l’Europa ha vietato e reso un crimine la negazione dell’Olocausto».
Gettleman è andato in giro a parlare con i ruandesi, spingendosi più in periferia, per cercare di capire da loro se la distinzione etnica tra hutu e tutsi sia oggi un fattore di discriminazione. Ne ha ricavato pareri discordi, con molta fatica (i ruandesi non ne parlano volentieri, dice). Un insegnante hutu si è messo a ridere quando Gettleman gli ha chiesto la sua appartenenza etnica, e gli ha detto che oggi quella tra hutu o tutsi non è una distinzione significativa; un altro hutu, il giorno dopo, ha invece detto a Gettleman che i tutsi vengono favoriti dal governo fin dalle scuole, e poi nel lavoro, con il pretesto di un programma di aiuto per i superstiti del genocidio (e gli ha anche detto che alle elezioni «agenti di partito stracciavano le schede di chi non votava per Kagame»).
Quando Gettleman, nel corso della conversazione, ha ricordato a Kagame che la maggior parte dei suoi ministri e degli uomini più ricchi del Ruanda sono tutsi, Kagame ha ammesso che i tutsi hanno usufruito in passato di una serie di vantaggi ma che questo stato di cose non risponde ad alcun disegno. «Se lei si perde in questa cosa dei tutsi e degli hutu», ha aggiunto, «si perde nella grettezza della nostra storia passata, e non ne esce più».