Cosa non va con i raid degli Stati Uniti
Le due operazioni delle forze speciali statunitensi in Libia e in Somalia hanno riaperto il vecchio dibattito sulle "extraordinary rendition"
Tra venerdì sera e sabato mattina, a poche ore di distanza, le forze speciali statunitensi hanno condotto a quasi tremila chilometri di distanza due raid per catturare dei sospetti terroristi. Il primo attacco è avvenuto in Somalia: l’obiettivo, secondo Reuters, era un militante straniero del gruppo terrorista somalo al-Shabaab, lo stesso responsabile dell’attacco al centro commerciale di Nairobi, in Kenya, lo scorso 21 settembre. Il secondo è stato compiuto a Tripoli, in Libia, e ha portato alla cattura di Nazih Abdul-Hamed al-Ruqai (nome di battaglia Abu Anas al-Libi). Le autorità statunitensi li considerano entrambi legati in qualche modo agli attentati alle ambasciate americane in Tanzania e Kenya nel 1998, dice Reuters.
Le due operazioni, scrive il Washington Post, suggeriscono che l’amministrazione Obama, ampiamente criticata negli ultimi anni per l’uso massiccio dei droni in molte operazioni antiterrorismo, stia utilizzando più spesso truppe di terra per catturare terroristi di alto profilo. Il ministro della Difesa Chuck Hagel ha detto domenica: «Queste operazioni in Libia e Somalia mandano un forte messaggio al mondo: gli Stati Uniti non risparmieranno gli sforzi per catturare i terroristi, indipendentemente da dove si nascondono o da quanto tempo scappano dalla giustizia».
Nonostante il successo dell’operazione statunitense in Libia, la dinamica di quanto successo ha provocato reazioni piuttosto dure. Dopo qualche ora dall’operazione, il governo libico ha protestato rumorosamente contro la decisione degli Stati Uniti di prelevare un suo cittadino senza le normali procedure di estradizione, parlando esplicitamente di “sequestro”. Il segretario di Stato americano John Kerry ha detto: «Ci consultiamo regolarmente con il governo libico su una serie di questioni legate alla sicurezza e all’antiterrorismo, ma non andiamo troppo nello specifico nelle nostre comunicazioni con i governi stranieri e non forniamo troppi dettagli su operazioni di questo tipo». Non è molto chiaro quanto il governo libico sapesse effettivamente dell’operazione: alcuni parlamentari hanno minacciato di chiedere le dimissioni del primo ministro nel caso fosse confermato un suo coinvolgimento nell’operazione.
L’operazione è stata criticata anche perché considerata molto simile alle cosiddette “extraordinary rendition“, una pratica ampiamente utilizzata dall’amministrazione Bush come strumento antiterrorismo e di dubbia legalità. La “extraordinary rendition” è infatti un’azione extralegale di cattura-deportazione-detenzione eseguita in maniera clandestina nei confronti di una persona sospettata di essere un terrorista. Si tratta, di fatto, di un’operazione svolta nel territorio di un altro paese, ai danni di un cittadino di un altro paese, senza seguire le normali procedure di estradizione in vigore nel diritto internazionale e nel caso specifico tra i due stati.
In Italia questa pratica è conosciuta per il famoso caso di Abu Omar, cittadino egiziano prelevato a Milano nel 2003 e consegnato agli americani (caso che poi ebbe un seguito giudiziario anche in Italia). L’amministrazione Obama dichiarò nel 2009 che la pratica di consegnare “sospetti” a paesi terzi sarebbe continuata ma da allora in poi si sarebbero cercate garanzie contro l’uso della tortura sui prigionieri.
Il parallelo storico più recente alla cattura di Ruqai, scrive il Washington Post, è quella della detenzione di Ahmed Warsame, accusato di essere il collegamento fra due gruppi di al Qaida, uno in Somalia e l’altro in Yemen. Warsame fu catturato nell’aprile del 2011 nel golfo di Aden e fu detenuto e interrogato segretamente su una nave statunitense per 40 giorni prima di essere portato a New York per il processo (fu poi considerato colpevole di avere avuto legami con gruppi terroristici). Secondo fonti citate da Reuters, Ruqai si trova sulla nave USS San Antonio, nel Mediterraneo.
L’amministrazione statunitense non ha fornito molti dettagli nemmeno sull’altra operazione, quella condotta in Somalia, il cui esito è stato però un fallimento. I Navy SEALs, secondo quanto ha riportato una fonte del governo, si sono ritirati dopo un’intensa sparatoria per paura che i civili potessero restare coinvolti nelle violenze. L’operazione si è svolta nella città portuale di Brava, tra Mogadiscio e Chismaio: Brava è considerata un centro molto importante per i leader di al-Shabaab, che la utilizzano per commerciare il carbone e fare una buona quantità di profitti che finanziano la guerriglia. Nella giornata di lunedì diverse fonti hanno rivelato l’identità dell’obiettivo dell’operazione: si tratta di Mohamed Abdikadir Mohamed, conosciuto con il nome di “Ikrima”, considerato uno dei più pericolosi comandanti di al-Shabaab. In serata il vice-primo ministro della Somalia, scrive CNN, ha confermato che il suo governo era a conoscenza e aveva approvato il raid delle forze speciali statunitensi.
Foto: i soccorsi dopo l’esplosione della bomba a Nairobi, negli attentati del 1998 (AFP/AFP/Getty Images)