Perché la Bossi-Fini non funziona
Lo sanno i leghisti e lo dice anche Fini, spiega Francesco Grignetti sulla Stampa
Oggi sulla Stampa Francesco Grignetti prova a spiegare, citando parecchi numeri e fatti, perché la famosa legge Bossi-Fini, di cui si discute molto in questi giorni, non funziona.
La legge della discordia, la Bossi-Fini, ha ormai dieci anni di vita e i suoi «padri», divisi in tutto nella politica, si dividono anche sul giudizio della norma: va benissimo così com’è per Umberto Bossi, andrebbe modificata per Gianfranco Fini. «Quando abbiamo fatto la legge – diceva qualche tempo fa l’ex presidente della Camera – un immigrato che perdeva il posto di lavoro, in sei mesi ne trovava un altro. Oggi non è più così. Bisognerebbe allungare i tempi».
Già, come riconosce pure Fini, andrebbe quantomeno prolungato il periodo di disoccupazione per lo straniero, perché, se perde il lavoro, dopo sei mesi perde anche il diritto al permesso di soggiorno. Magari la persona ha vissuto rettamente per anni in Italia, ma se poi gli va male sul lavoro finisce per trasformarsi suo malgrado in un clandestino che rischia ogni momento di essere fermato e rispedito nel suo Paese.
Finora, ad essere allungato, è stato solo il periodo di trattenimento in un Centro di identificazione e espulsione. Agli inizi, considerato che era uno strappo bello e buono ai principi costituzionali privare della libertà personale una persona per un illecito amministrativo e non per un reato penale, si disse che sarebbero bastati 3 mesi di «trattenimento» dietro le sbarre dei Cie. Con Maroni siamo arrivati a 18. E non basta neanche questo periodo lunghissimo per avere espulsioni effettive.