La nuova diplomazia iraniana secondo Ali Khamenei
La massima autorità dell'Iran ha detto di "sostenere" le aperture diplomatiche del presidente Rouhani, ma con alcune riserve
Sabato 5 ottobre Alì Khamenei, Guida Suprema dell’Iran e massima autorità del paese, ha detto di «sostenere» le aperture diplomatiche verso l’Occidente che il presidente Hassan Rouhani ha fatto da quando ha vinto le elezioni del giugno scorso. La scorsa settimana Rouhani ha partecipato all’Assemblea delle Nazioni Unite a New York e si è detto disponibile a iniziare un dialogo sul programma nucleare iraniano e sulla possibilità, ancora tutta da verificare, di concedere maggiori libertà alla popolazione dell’Iran – tra queste, recentemente si è parlato molto di accesso libero al web.
La Guida Suprema, secondo l’agenzia semi-ufficiale FARS, ha dichiarato però che «alcune cose che sono accadute durante il viaggio a New York non sono state particolarmente desiderabili», o “inappropriate”, come ha tradotto in inglese una televisione iraniana. Secondo molti esperti di cose iraniane, Khamenei si riferiva alla telefonata di venerdì 27 settembre tra Rouhani e il presidente Barack Obama, la prima tra un leader iraniano e un presidente degli Stati Uniti dalla rottura del 1979.
Le dichiarazioni di Khamenei di sabato sono le prime riprese dalla stampa internazionale riguardo le aperture diplomatiche di Rouhani: sono particolarmente importanti perché al suo ritorno in Iran, Rouhani è stato contestato da alcune decine di persone che hanno cantato slogan come “morte all’America!”, accusandolo per le aperture compiute nei confronti soprattutto degli Stati Uniti. L’intervento di Khamenei, in pratica, sembra esprimere due cose diverse: la prima è che, come avevano ipotizzato in diversi nei mesi scorsi, Rouhani può contare effettivamente sull’appoggio di Khamenei, e sarebbe stato difficile sostenere il contrario; la seconda è che all’interno della politica iraniana vanno avanti le tensioni tra riformisti e conservatori, e tra diverse fazioni dello stesso schieramento conservatore. Khamenei, espressione dell’ala più conservatrice della politica iraniana, non ha intenzione di sostenere in maniera incondizionata le politiche di Rouhani, soprattutto riguardo la politica estera, e l’ha fatto capire chiaramente sabato.
Rouhani, eletto nel giugno 2013, era considerato uno dei due candidati “moderati” alle elezioni, ma era anche l’unico candidato esponente del clero. In diverse occasioni nelle ultime settimane Rouhani ha dimostrato una maggiore apertura del suo predecessore Mahmud Ahmadinejad, accolta favorevolmente dall’amministrazione americana, come ha dimostrato l’episodio della telefonata. Il principale alleato degli Stati Uniti in Medio Oriente, Israele, ha invece duramente criticato le aperture reciproche tra Iran e Stati Uniti. Il primo ministro israeliano Benjamin Nethnyahu ha definito Rouhani «un lupo travestito da pecora».
L’amministrazione americana ha comunque più volte sottolineato che prima di compiere concessioni significative all’Iran c’è bisogno di fatti e prove che dimostrino la sincerità delle intenzioni di Rouhani. Le due questioni più importanti sono il programma nucleare iraniano e le sanzioni economiche che al momento sono imposte sull’economia del paese. Rouhani vorrebbe alleviare la pressione di queste ultime, mentre Stati Uniti e altri paesi occidentali chiedono che l’Iran compia dei passi effettivi verso l’abbandono del suo programma nucleare. Una decisione di tale portata dovrà però passare necessariamente da Khamenei.
Secondo molti commentatori è un buon segno che Khamenei abbia approvato la politica di Rouhani, anche se non ha risparmiato la tradizionale e dura critica nei confronti degli Stati Uniti. «Siamo ottimisti sulla delegazione diplomatica del nostro governo», ha detto Khamenei, «ma pessimisti a proposito degli Stati Uniti. Il governo americano non è degno di fiducia, è egoista ed è abituato a infrangere le sue promesse».