Cosa dice la legge Bossi-Fini

I punti più importanti e contestati sui migranti irregolari, sui CIE e sui respingimenti in mare, di cui si parla di nuovo dopo la strage di Lampedusa

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25/05/2008 Torino, Italia
Cronaca
nella foto: il nuovo cpt di torino dove venerdÏ notte un ragazzo marocchino Ë morto, i compagni denunciano la mancanza di soccorsi adeguati
©Lapresse 25/05/2008 Torino, Italia Cronaca nella foto: il nuovo cpt di torino dove venerdÏ notte un ragazzo marocchino Ë morto, i compagni denunciano la mancanza di soccorsi adeguati

Dopo il naufragio di Lampedusa in cui risultano morte finora 111 persone, si è tornati a parlare della cosiddetta “Bossi-Fini”, la legge che in Italia regola le politiche migratorie e occupazionali per gli stranieri. È una legge che ha più di dieci anni, che è stata molto criticata anche fuori dall’Italia e di cui di nuovo oggi in molti chiedono l’abolizione o la modifica. Ieri ne ha parlato Giorgio Napolitano: «Credo che una delle verifiche che vadano rapidamente fatte è quali norme di legge ci sono che fanno ostacolo ad una politica dell’accoglienza, degna del nostro Paese e rispondente a principi fondamentali di umanità e solidarietà». E ne ha parlato il ministro per l’Integrazione Cécile Kyenge: «Il Consiglio d’Europa ha appena giudicato sbagliate le nostre politiche sui flussi migratori. La legge deve cercare di rispondere a questo grande fenomeno naturale. Per questo bisogna rivedere le norme sull’immigrazione, a partire dalla legge Bossi-Fini, coinvolgendo tutti i ministri interessati».

La legge Bossi-Fini
La legge n.189 del 30 luglio 2002 fu approvata dal Parlamento italiano durante la XIV Legislatura (col secondo governo Berlusconi). Prese il nome dai primi firmatari, Gianfranco Fini, al tempo leader di Alleanza Nazionale, e Umberto Bossi della Lega Nord, che erano allora vicepresidente del Consiglio dei ministri e ministro per le Riforme istituzionali e la Devoluzione.

La legge modificava le norme già esistenti in materia di immigrazione e asilo, cioè il “Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, un decreto del luglio 1998. La Bossi-Fini inoltre cambiava e integrava una modifica precedente, la cosiddetta Turco-Napolitano, legge n.40 del 6 marzo 1998 confluita poi nel Testo Unico. La Bossi-Fini entrò in vigore il 10 settembre del 2002.

Oltre all’inasprimento delle pene per i trafficanti di esseri umani in violazione della legge; a una sanatoria per colf, assistenti ad anziani, malati e portatori di handicap; all’uso delle navi della Marina Militare per contrastare il traffico di migranti irregolari; al rilascio di permessi di soggiorno speciali e relativi al diritto di asilo; le principali e più discusse modifiche introdotte dalla Bossi-Fini furono:

Ingresso
Può entrare in Italia solo chi è già in possesso di un contratto di lavoro che gli consenta il mantenimento economico. La presentazione di documentazione falsa comporta l’inammissibilità della domanda e una serie di responsabilità penali.

Permesso di soggiorno
Viene concesso solo a chi possiede un contratto di lavoro: dura due anni per i rapporti a tempo indeterminato (prima erano tre), un anno negli altri casi. Se nel frattempo la persona diventa disoccupata dovrà rientrare in patria. La legge aveva inoltre aumentato da cinque a sei gli anni necessari di soggiorno in Italia per ottenere la carta di soggiorno (che permette la permanenza a tempo indeterminato): successivamente e a seguito del recepimento di una direttiva europea, sono stati riportati a cinque.

Impronte digitali
Per le persone che chiedono il permesso di soggiorno, ma anche per chi ne chiede il rinnovo, la legge ha introdotto l’obbligo di rilevamento e registrazione delle impronte digitali.

Espulsioni di irregolari 
Come la legge Turco-Napolitano, anche la Bossi-Fini prevede che le persone senza permesso di soggiorno ma con un documento di identità (irregolari) vengano espulse per via amministrativa, cioè dal prefetto della Provincia dove vengono rintracciate. L’espulsione deve essere eseguita immediatamente con “l’accompagnamento alla frontiera” da parte della forza pubblica. Se la persona è anche senza documenti di identità (se cioè è irregolare) verrà portata in quelli che prima si chiamavano Centri di Permanenza Temporanea (CPT) poi definiti Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE) per sessanta giorni (la Turco-Napolitano ne prevedeva trenta) durante i quali si svolgeranno le pratiche per l’identificazione. Lo straniero espulso che rientra senza permesso commette un reato e viene detenuto in carcere.

Ricongiungimenti familiari
Il cittadino extracomunitario in regola con i permessi, può chiedere di essere raggiunto dal coniuge, dal figlio minore o dai figli maggiorenni purché a carico e a condizione che non possano provvedere al proprio sostentamento. Ricongiungimenti sono previsti anche per i genitori degli extracomunitari a condizione che abbiano compiuto i 65 anni e che nessun altro figlio possa provvedere al loro sostentamento.

Falsi matrimoni
La legge prevede che il permesso di soggiorno venga revocato se ottenuto attraverso un matrimonio con un cittadino o una cittadina italiana o con uno straniero regolarizzato a cui non sia seguita un’effettiva convivenza. A questa norma c’è un’eccezione, se dal matrimonio sono comunque nati dei figli.

Respingimenti
La legge ammette i respingimenti al paese di origine in acque extraterritoriali, in base ad accordi bilaterali fra l’Italia e altri paesi (ad esempio quello con la Libia di Gheddafi nel gennaio 2009), che impegnano le polizie a cooperare per prevenire l’immigrazione irregolare. L’obiettivo era quello di fare in modo che i barconi non potessero attraccare sul suolo italiano e che l’identificazione degli aventi diritto all’asilo politico o a prestazioni di cure mediche e assistenza avvenisse direttamente in mare. Per questo motivo spesso i migranti si buttano in mare dai barconi provando ad arrivare a riva a nuoto.

Quella dei respingimenti in mare è stata una delle questioni più discusse anche in ambito europeo: tra i migranti a bordo delle barche intercettate potrebbero esserci profughi in cerca di protezione internazionale e il respingimento senza prima una verifica attenta (che spesso non avviene) viola l’articolo 18 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea che recepisce a sua volta il principio stabilito dalla Convenzione di Ginevra, secondo cui gli stati non possono rinviare i rifugiati in paesi dove questi sono perseguitati e rischiano la vita. Questa settimana l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha definito “sbagliate o controproducenti” le misure prese in questi ultimi anni dall’Italia per gestire i flussi migratori. Il rapporto criticava in particolare i respingimenti e i ritorni forzati in paesi come la Libia, dove i migranti rischiano la vita.

C’è poi un altro punto molto controverso. Dopo il naufragio di Lampedusa, il sindaco Giusi Nicolini ha parlato di tre pescherecci che si sarebbero allontanati e non avrebbero soccorso i migranti in mare «perché il nostro paese ha processato i pescatori che hanno salvato vite umane per favoreggiamento all’immigrazione clandestina». Il riferimento del sindaco era probabilmente all’episodio dell’8 agosto del 2007 quando i capitani tunisini di due pescherecci salvarono 44 naufraghi provenienti dall’Africa che stavano per affogare e li portarono nel porto più vicino, quello di Lampedusa. Vennero sospettati di essere scafisti, subirono un processo lungo quattro anni (con una prima condanna a più di due anni), 40 giorni di carcere e il sequestro degli strumenti di lavoro. Il Testo Unico sull’immigrazione prevede il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per chiunque porti in Italia dei migranti senza un visto d’ingresso. La Convenzione SAR del 1979 impone sempre e comunque il soccorso in mare e l’accompagnamento dei naufraghi in un luogo sicuro. Del processo contro i pescatori tunisini si occuparono molto la stampa estera e il Parlamento europeo: nel settembre del 2007, un centinaio di europarlamentari sottoscrissero un appello di solidarietà con i marinai tunisini.

Foto: il CPT di Torino (©Lapresse)