In Siria è iniziata la missione degli ispettori ONU per le armi chimiche
Per ora stanno verificando le informazioni fornite da Assad, ma sarà una cosa lunga
Mercoledì 2 ottobre il team indipendente di ispettori internazionali che si sta occupando del programma di distruzione delle armi chimiche in Siria ha terminato il suo primo giorno di lavoro. Le operazioni vere e proprie di smantellamento non sono iniziate, ha spiegato ieri il portavoce dell’ONU: gli ispettori, che ora si trovano a Damasco, sono esperti provenienti sia dall’Organizzazione per la messa al bando delle armi chimiche – che ha sede all’Aia, nei Paesi Bassi, il cui funzionamento è descritto dalla Convenzione sulle armi chimiche – sia dall’ONU.
Fino al primo novembre, si legge nella nota diffusa dall’ONU, gli ispettori dovranno verificare le informazioni fornite dal governo siriano sul suo arsenale chimico e pianificare i passi successivi. Poi inizierà la parte più difficile, quella dello smantellamento dell’intero programma chimico siriano, – stimato in circa 1000 tonnellate di armi chimiche – entro la metà del 2014 (come previsto dall’accordo ONU che ha dato il via alla missione). Tra una settimana è previsto l’arrivo in Siria di un secondo gruppo di ispettori, incaricato di visitare i singoli siti: i loro movimenti non sono stati resi pubblici, sia per questioni di sicurezza sia per permettere al governo siriano di mantenere il segreto militare sulla localizzazione del proprio arsenale.
Come avevano già osservato diversi esperti nelle ultime settimane, il lavoro degli ispettori internazionali si preannuncia molto arduo. Il problema più grande, a parte le difficoltà tecniche legate alla distruzione in sé dell’arsenale chimico, riguarda la sicurezza: martedì, all’arrivo degli ispettori a Damasco, un colpo di mortaio ha colpito la zona nei pressi del Four Season Hotel, una delle più ricche della capitale siriana. Mentre il presidente Bashar al Assad ha assicurato la piena collaborazione con gli ispettori (da valutare nel tempo, comunque), i ribelli non hanno dato alcun tipo di rassicurazione: attentati o spostamenti improvvisi dei fronti di guerra potrebbero mettere a rischio la sicurezza degli ispettori, e l’efficacia della loro missione.
Le cose sono ulteriormente complicate dal fatto che un terzo dei siti in cui si trovano le armi chimiche della Siria sono fuori dal controllo del governo, e alcuni di quelli che si trovano sotto controllo governativo sono raggiungibili solo da strade controllate da ribelli. I ribelli nel frattempo hanno fatto sapere che non collaboreranno con gli ispettori: se la loro posizione dovesse rimanere questa – scenario piuttosto probabile per ora, visto che non avrebbero alcun vantaggio politico nel fare diversamente – la missione internazionale potrebbe prolungarsi e il suo esito diventerebbe ancora più incerto. Un residente di un quartiere di Damasco ha sintetizzato la questione al New York Times: «20 esperti di armi chimiche preverranno un possibile attacco aereo degli Stati Uniti, che non avverrà di certo mentre gli ispettori sono qui. E il regime è felice».
La popolazione siriana, aggiunge il New York Times, sembra poco interessata alla missione degli ispettori internazionali. L’uso delle armi chimiche nella guerra civile siriana sembra essere più un tema politico di discussione e disaccordo tra le grandi potenze del mondo piuttosto che il maggiore dei problemi di chi vive nelle zone di guerra in Siria. Le persone uccise per l’uso delle armi chimiche durante il conflitto sono, nella peggiore delle ipotesi, poche migliaia; il totale dei morti per la guerra superano i 100mila, secondo le stime dell’ONU.
Foto: il convoglio di ispettori dell’ONU all’aeroporto di Beirut, in Libano, prima di arrivare a Damasco (AP Photo/Bilal Hussein)