La storia del 14 dicembre 2010
Cosa successe nella giornata parlamentare recente che più somiglia a quella di oggi, quando Berlusconi la spuntò per tre voti mentre in giro per Roma succedeva di tutto
Nella storia della politica italiana, il 14 dicembre del 2010 fu una giornata agitata e importante. Fu il giorno in cui si cominciò a parlare di “responsabili” come sostantivo e non come aggettivo, il giorno in cui il centrodestra subì un’importante scissione, in cui l’allora governo Berlusconi ottenne una tutt’altro che scontata fiducia prima al Senato e poi alla Camera. Nel frattempo, fuori dal Parlamento, il centro di Roma fu attraversato da un grande e partecipato corteo, con scontri e violenze tra manifestanti e polizia e un bilancio di oltre cento feriti.
Nei mesi precedenti al 14 dicembre si era aperta una crisi all’interno del centrodestra. Gianfranco Fini, a quel tempo presidente della Camera, aveva messo in discussione la leadership e la linea politica di Berlusconi con dichiarazioni e iniziative sempre più critiche e polemiche. Tra ottobre e dicembre gli studenti universitari e delle scuole superiori, insieme a molti ricercatori, organizzarono una serie di manifestazioni con l’obiettivo di fermare la riforma Gelmini dell’università.
La mattina del 14 dicembre 2010 il Parlamento fu circondato da alcune migliaia di poliziotti, carabinieri e finanzieri in assetto antisommossa. Le opposizioni al governo Berlusconi, compreso per la prima volta il cosiddetto “Terzo Polo” di UdC, FLI, MpA e ApI, avevano presentato una mozione di sfiducia alla Camera. Quella stessa mattina al Senato, dopo che Berlusconi aveva riferito sul suo operato, il governo chiese un voto di fiducia, approvato con 162 sì, 135 no e 11 astenuti. Alla Camera la situazione era invece più incerta. La seduta si svolse in modo molto confuso e agitato. Ci furono sospensioni dei lavori, insulti verso il presidente Fini, risse. Si ballava intorno al numero di persone che avrebbe lasciato il PdL per passare col “Terzo Polo”. Sembrava che i numeri ci fossero ma intorno alle 14 circa fu annunciato il risultato del voto: la Camera confermò la fiducia al governo di Silvio Berlusconi respingendo la mozione con 314 no, 311 sì (e due astenuti).
Furono fondamentali i voti di quattro cosiddetti “finiani” che all’ultimo momento cambiarono idea: Catia Polidori, Maria Grazia Siliquini e Giampiero Catone che votarono no, mentre Silvano Moffa non partecipò alla votazione. Insieme ai deputati di PdL e Lega Nord, votarono a favore del governo i parlamentari di Noi Sud-Pid (compreso l’ex dell’IdV Antonio Razzi), i tre di Movimento di responsabilità nazionale Massimo Calearo (ex PD), Bruno Cesario (ex PD) e Domenico Scilipoti (ex IdV). Contro il governo votarono PD, Terzo Polo e Italia dei Valori. Berlusconi, più tardi, parlò di «una vittoria certamente politica», Gianfranco Fini la definì invece semplicemente «numerica».
Nel frattempo erano state convocate due manifestazioni nazionali. Un corteo era promosso da FIOM, centri sociali, Action, Unione Inquilini, Rifondazione Comunista e Partito Comunista dei lavoratori. A questo si era unita una grande manifestazione di studenti universitari, con lo slogan “Io non mi fido”. I due cortei sfilarono pacificamente riunendosi poco dopo mezzogiorno nei pressi di Montecitorio. Alla notizia della mancata sfiducia del governo, in piazza iniziarono e proseguirono per ore gli scontri con la polizia: vennero lanciate bombe carta, vennero usati bastoni e pietre, incendiati auto e cassonetti, distrutti vetrine e bancomat. Le forze dell’ordine risposero con delle cariche e lanciando lacrimogeni. Alla fine della giornata, il bilancio fu di circa cento feriti e quaranta arresti.