Come si dimette un parlamentare
Anche a prendere sul serio i parlamentari del PdL, la loro minaccia prenderebbe anni per compiere il suo percorso
Mercoledì 25 settembre i parlamentari del Popolo della Libertà si sono riuniti nel palazzo di Montecitorio che ospita la Camera dei Deputati: a fine riunione hanno fatto sapere di aver deciso – dopo sparpagliati e contraddittori annunci simili che durano da settimane – che si dimetteranno in massa dalla loro carica se la giunta del Senato voterà a favore della decadenza di Silvio Berlusconi da senatore il prossimo 4 ottobre, come sembra assai probabile. La giunta si deve esprimere per via della condanna definitiva di Berlusconi a 4 anni per frode fiscale, che lo rende incompatibile con la carica al Senato. La minaccia delle dimissioni sarebbe una soluzione per fare nuove pressioni sul governo di Enrico Letta (PD) e sul presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Secondo gli esponenti del PdL sarebbe un gesto eclatante e che darebbe un segnale: politicamente, potrebbe essere letto come una dissoluzione di una parte cospicua del risultato elettorale, e suggerire al presidente della Repubblica nuove elezioni, per quanto la serietà e credibilità dell’annuncio siano molto messe in dubbio. Ma anche a voler vedere il bluff del PdL, nella realtà dei fatti il risultato si preannuncia tecnicamente molto complicato da ottenere.
Cosa dice la Costituzione
Prima dei regolamenti parlamentari, per comprendere il meccanismo che sta dietro alle dimissioni di deputati e senatori occorre tenere in considerazione che cosa dice la Costituzione.
L’articolo 23 stabilisce che:
Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.
Mentre l’articolo 67 ricorda che:
Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.
In pratica la Costituzione dice che ogni cittadino è libero di accettare o di rifiutare la candidatura alle elezioni per il Parlamento e che, in caso di elezione, ogni cittadino può decidere se continuare o smettere di esercitare le sue funzioni senza avere particolari vincoli.
Come funziona, concretamente
Un parlamentare presenta volontariamente le dimissioni in due diverse condizioni. La prima si verifica quando il parlamentare decide di assumere una carica o un impiego che è incompatibile con il suo mandato. Si tratta di solito del caso più semplice: la decisione viene comunicata alla camera cui appartiene il parlamentare, i cui membri ne prendono atto – di norma – senza procedere a una votazione. La seconda condizione è invece più complicata e si verifica quando il parlamentare si vuole dimettere per scelta personale.
Il voto sulle dimissioni
Il parlamentare che si vuole dimettere spiega all’aula le proprie motivazioni, che devono essere accettate dalla stessa aula tramite una votazione. Questo meccanismo, almeno formalmente e per come era stato pensato in origine, serve per tutelare il dimissionario e l’istituzione: un parlamentare potrebbe, per esempio, annunciare le dimissioni in seguito alle pressioni ricevute dal proprio partito, cosa che andrebbe contro la norma sull’assenza del vincolo di mandato presente in Costituzione, o di un gruppo di interesse.
Sia il regolamento della Camera sia quello del Senato prevedono che la votazione si svolga a scrutinio segreto, come sempre nelle decisioni che riguardano un singolo individuo. Per cortesia e rispetto verso il parlamentare su cui si sta votando, di solito alla prima votazione la camera competente respinge le dimissioni. Ci sono stati diversi casi, come quello recente della senatrice del Movimento 5 Stelle Giovanna Mangili, in cui le dimissioni sono state rigettate e il parlamentare ha dovuto mantenere il proprio incarico.
Dimissioni di massa?
Tra Camera e Senato il PdL ha in tutto 196 parlamentari. Se decidessero di dimettersi in massa, ogni deputato dovrebbe presentare alla Camera le motivazioni delle proprie dimissioni e altrettanto dovrebbe fare ogni senatore in Senato. Le camere dovrebbero poi esaminare, dibattere e votare un caso per volta, con tempi che sarebbero molto lunghi. Inoltre il PdL non ha la maggioranza né alla Camera né al Senato: ogni parlamentare per dimettersi avrebbe bisogno di convincere almeno parte dei suoi colleghi di Scelta Civica, della Lega Nord, del Movimento 5 Stelle, del PD o di SEL.
Primo dei non eletti
A dimissioni approvate, il seggio del parlamentare diventa vacante e deve essere quindi attribuito a una nuova persona. Le attuali leggi prevedono che il seggio rimasto libero sia occupato dal primo dei non eletti nella lista elettorale del partito cui appartiene il parlamentare dimesso. Infine, la camera competente deve ratificare l’arrivo del nuovo parlamentare.
In pratica, nel caso specifico la Camera dovrebbe approvare le dimissioni date da un deputato PdL e poi procedere a ratificare il subentro del primo dei non eletti sempre appartenente al PdL. Quest’ultimo, coerentemente con la decisione del partito, dovrebbe forse a sua volta presentare le dimissioni all’aula e si andrebbe avanti così fino all’esaurimento della lista dei non eletti, se il PdL vuole dare davvero delle conseguenze concrete alla sua scelta. Considerato che i parlamentari PdL sono 196, sarebbero necessari anni di lavoro delle camere solo per esaurire le richieste di dimissioni.