La “guerra dei sessi”, 40 anni fa
La storia di una delle partite di tennis più famose della storia - giocata da un uomo e una donna - e di quello che successe dopo
di Arianna Cavallo
Il 20 settembre del 1973, esattamente 40 anni fa, si giocò una partita di tennis che venne chiamata “la battaglia dei sessi”. È una delle partite di tennis più famose della storia, per la sua rarità e soprattutto per le conseguenze che ebbe nella società e nella cultura prima ancora che nel tennis. Fu giocata a Houston, in Texas, da un uomo e da una donna, entrambi statunitensi: Bobby Riggs e Billie Jean King. Vinse Billie Jean King.
Come in molti sport basati sulla prestanza fisica, oltre che sulla tecnica, donne e uomini non possono competere alla pari: nel 1998, per fare un esempio, il tennista uomo numero 203 al mondo sconfisse con grande facilità entrambe le sorelle Williams, che nel tennis femminile giocavano già ad altissimi livelli. Nel 1973 Bobby Riggs aveva 55 anni, si era ritirato dal tennis professionistico da 14 anni dopo aver vinto un torneo di Wimbledon e due US Open e sperava di riacquistare un po’ di popolarità. Nel febbraio del 1973 organizzò una conferenza stampa a San Diego in cui sostenne che il tennis maschile era superiore a quello femminile, e che nonostante l’età e il ritiro avrebbe potuto battere senza fatica le migliori tenniste dell’epoca, l’australiana Margaret Court e la californiana Billie Jean King.
Riggs, che aveva messo in palio un assegno di cinquemila dollari per il vincitore, puntava soprattutto a King, e cercò di convincerla più volte sfidandola in pubblico. King aveva 29 anni, aveva già vinto un Australian Open, cinque Wimbledon, un Roland Garros e tre US Open, ed era al secondo posto della classifica delle tenniste professioniste. Era anche considerata una paladina dei diritti delle donne: si batteva per ottenere che le tenniste fossero pagate quanto i colleghi maschi e di lì a poco avrebbe fondato la WTA, l’associazione internazionale delle tenniste professioniste. King rifiutò: «qui c’è un vecchio sfigato che perde capelli, ondeggia come un’anatra e ci vede poco. Non abbiamo niente da guadagnarci».
A quel punto Court, che aveva 30 anni ed era al primo posto della classifica, decise di accettare, convinta che Riggs «fosse solo un tizio dalla bocca larga» e piuttosto certa di vincere, dato che in allenamento aveva battuto uomini più forti di lui. Riggs fece di tutto per attirare l’attenzione della stampa e presentare la partita come «l’incontro del secolo». I due si affrontarono il 13 maggio del 1973 a Ramona, in California, davanti a tremila persone: vinse Riggs in soli 57 minuti e due set, 6–2, 6–1. Gli appassionati di tennis ricordano l’episodio come il Mother’s Day Massacre (era infatti il giorno della Festa della mamma). Court aveva sottovalutato Riggs e soprattutto non aveva previsto il valore simbolico dell’incontro. King, che aveva assistito alla partita, capì allora di dover sfidare a sua volta Riggs per rimediare alla sconfitta. Telefonò al marito e gli disse: «Ora abbiamo qualcosa da dimostrare». Dal canto suo Riggs era intenzionato ad approfittare del momento di popolarità e disse subito ai giornalisti di voler giocare contro King.
Si giocò il 20 settembre 1973 all’Astrodomo di Houston in Texas, con un premio di 100 mila dollari per il vincitore. Nel frattempo si era creata un’enorme aspettativa attorno al match, alimentata dagli stessi protagonisti: Riggs disse che il posto delle donne era «a letto e in cucina, in quest’ordine» e si definì «un maiale sciovinista». Il 20 settembre all’Astrodomo si riunirono più di 30 mila persone – negli Stati Uniti detiene ancora il record di pubblico per una partita di tennis – e più 90 milioni di spettatori (50 milioni negli Stati Uniti) seguirono l’incontro in tv.
Il fatto che la partita non fosse valida per alcun torneo permise vari strappi alla consueta sobrietà solenne delle partite di tennis. King entrò in campo simile a una moderna Cleopatra, circondata di piume rosa, trasportata su una lettiga dorata da quattro ragazzi a petto nudo e vestiti da schiavi antichi. Riggs arrivò su un carro trainato da modelle. Al contrario di Court, che aveva preso il match sottogamba, King si era preparata accuratamente, sia dal punto di vista fisico che tattico: abbandonò il suo stile particolarmente offensivo e giocò soprattutto da fondo campo, demolendo la difesa di Riggs e obbligandolo a rincorrere la palla da una parte e dall’altra. Alla fine King vinse per 6–4, 6–3, 6–3, senza concedere neanche un set.
Riggs saltò oltre la rete per stringerle la mano, la abbracciò e le disse all’orecchio «ti avevo sottovalutata». Dopo la conferenza stampa in cui si complimentò più volte con King, Riggs si chiuse nella sua camera d’albergo per quattro ore, da solo, mentre i suoi collaboratori entravano di tanto in tanto per controllare che stesse bene. Riggs chiese subito la rivincita. King rifiutò: disse che non c’era nient’altro da dimostrare.
La vittoria di King ebbe un grosso impatto sulla società americana dell’epoca: le donne a parità di mansioni venivano pagate molto meno degli uomini, erano spesso relegate a mestieri considerati femminili, non potevano abortire e soltanto l’anno prima era stata approvata una legge che vietava la discriminazione di genere nelle scuole e nello sport. King disse: «pensavo che se non avessi vinto la partita saremmo tornati indietro di 50 anni. Avrebbe rovinato il campionato femminile e avrebbe influito sull’autostima di tutte le donne». Molti commentatori sottolinearono da subito che la vittoria di King non fu tanto fisica e tattica, quanto mentale ed emotiva: aveva dimostrato che le donne erano in grado di reggere la pressione quanto gli uomini. L’episodio contribuì anche a dare una spinta al tennis femminile, fin lì sottopagato e considerato decisamente inferiore rispetto a quello maschile.
Col tempo King divenne un’icona dei diritti delle donne e successivamente anche delle persone GLBT, dopo aver ammesso di essere lesbica. Ha raccontato di essere stata fermata più volte per strada da donne che raccontavano di aver trovato il coraggio di chiedere un aumento di stipendio dopo aver visto la partita, e anche di padri che, commossi, le dicevano di aver deciso grazie a lei di istruire le figlie con gli stessi criteri dei figli maschi, spronandole a studiare quello che volevano all’università e a non sentirsi inferiori ai colleghi uomini. Nel 1990 la rivista Life scelse King tra i «100 americani più importanti del XX secolo»: gli unici altri tre atleti della lista sono Babe Ruth, Jackie Robinson e Muhammad Ali.
Subito dopo la partita però iniziarono a circolare voci che Riggs avesse perso di proposito per guadagnare dalle scommesse e ripagare i numerosi debiti dovuti al gioco. Molti tennisti e commentatori si dissero convinti di questa tesi: Riggs aveva giocato in modo fiacco, quasi irriconoscibile, ed era anche il tipo da barare per soldi. Il tennista Don Budge raccontò che la mafia aveva pagato Riggs una cifra enorme – dai 200 mila ai 550 mila dollari – perché perdesse. Altri invece dissero che Riggs era troppo orgoglioso e competitivo e non avrebbe mai accettato di perdere contro una donna. Riggs, che è morto nell’ottobre del 1995, ha sempre negato di aver perso apposta, dicendo che non era semplicemente in giornata.
La tesi della partita truccata è stata avanzata nuovamente quest’estate durante il programma Outside the Line di ESPN, e riportata in un articolo dal giornalista Don Van Natta. Hal Shaw, un uomo di 79 anni, ha raccontato ad Outside the line di aver tenuto segreta per 40 anni una conversazione tra gangster a cui aveva assistito, in cui discutevano della proposta di Riggs di perdere la partita e ottenere in cambio che gli venissero abbuonati i debiti di gioco che aveva con loro. All’epoca Shaw aveva 39 anni e lavorava come assistente di un istruttore di golf a un club di Tampa, in Florida.
Il migliore amico di Riggs, Lornie Kuhle, ha negato decisamente le accuse di Shaw: «Sono stato con Bobby giorno e notte per 20 anni. Sono l’esecutore del suo testamento. So quanti centesimi ha in banca, conosco tutti gli assegni che ha scritto e ogni scommessa che ha fatto. Non ha mai fatto una scommessa in cui era coinvolta la mafia, o cose del genere». Dal canto suo King ha commentato che «molte persone, soprattutto uomini, non sono contente quando una donna vince. Non gli piace e allora si inventano storie. Ci pensano e ci ripensiamo ed è dura per loro, è davvero dura per il loro ego». In passato King aveva già respinto le insinuazioni dicendo che «potevo vedere negli occhi e nei movimenti di Riggs che voleva vincere. Le persone devono accettare che ha avuto una brutta giornata, proprio come ce l’ha avuta Margaret Court quando ha giocato contro Bobby».
In un documentario per HBO Billie Jean King racconta che negli anni lei e Riggs erano diventati amici. Riggs nel frattempo si era ammalato di cancro alla prostata e lei aveva iniziato a chiamarlo spesso per sapere come stava. Lo chiamò anche nella notte del 24 ottobre del 1995. «Ti voglio bene» gli disse, e lui rispose lo stesso. E poi aggiunse «Beh, ce l’abbiamo fatta. Abbiamo davvero fatto la differenza, no?». Fu l’ultima volta che si parlarono: il giorno dopo, a 77 anni, Riggs morì.
Billie Jean King oggi ha 69 anni e vive tra New York e Chicago con la sua compagna. Nel 2006 le è stato intitolato il grande centro tennistico di New York – il più grande al mondo – nel quale ogni anno si giocano gli US Open. Nel 2009 è diventata la prima atleta donna a ricevere la Medaglia presidenziale della libertà, la più alta onorificenza civile negli Stati Uniti, consegnata dal presidente Barack Obama.