Fininvest deve risarcire CIR
Lo ha deciso la Cassazione, mettendo fine alla lunga disputa sul cosiddetto "lodo Mondadori": l'azienda di Berlusconi dovrà pagare 541 milioni di euro
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di Fininvest, azienda di proprietà di Silvio Berlusconi, e ha confermato che deve risarcire la CIR, azienda di proprietà di Carlo De Benedetti, mettendo fine così alla disputa legale riguardo l’acquisto della casa editrice Mondadori nei primi anni Novanta. Secondo il procuratore generale il risarcimento doveva essere ridotto ma confermato: la Cassazione lo ha ridotto di 23 milioni, da 564 milioni di euro a 541. Fininvest ha già consegnato nel 2011 i soldi a CIR, che però li aveva congelati in attesa del parere della Cassazione.
La vicenda iniziò alla fine degli anni Ottanta, quando Fininvest, CIR e un terzo gruppo guidato dalla famiglia di imprenditori Formenton controllavano ciascuno circa un terzo delle azioni della casa editrice Mondadori. Nel 1988 i Formenton avevano deciso di cedere la propria parte delle azioni: e De Benedetti li convinse a firmare un pre-contratto secondo il quale entro la fine del 1991 le loro azioni sarebbero passate al gruppo CIR. Nel 1989 i Formenton cambiarono idea e vendettero le proprie azioni a Fininvest; il 25 settembre 1990 Silvio Berlusconi diventò così presidente del gruppo Mondadori.
De Benedetti protestò e in accordo con i Formenton decise di ricorrere all’arbitrato di tre giudici (tra i quali uno a testa scelto da De Benedetti e dai Formenton, e uno scelto dalla Corte di Cassazione), per stabilire se la cessione delle azioni a Berlusconi fosse stata legale, e che insomma non avesse violato il pre-contratto firmato dalla famiglia Formenton. L’arbitrato diede ragione a De Benedetti ma i Formenton impugnarono a loro volta il verdetto dell’arbitrato (il cosiddetto “lodo”, in termini giuridici) davanti alla Corte d’Appello di Roma, che stabilì che a decidere dovesse essere la prima sezione civile del Tribunale (quella che si occupa del diritto cosiddetto “della persona”, cioè di separazioni, interdizioni, tutele e risarcimenti vari). La prima Sezione civile era presieduta dai giudici Valente, Paolini e Metta, e il 24 gennaio 1991 diede ragione ai Formenton – e quindi indirettamente a Berlusconi, che rimase a capo della Mondadori.
Nel 1995 la procura di Milano scoprì però che ai tempi della sentenza della prima Sezione Civile uno dei giudici che la presiedeva, Vittorio Metta, aveva ricevuto più di un miliardo di lire da Cesare Previti, uno degli avvocati del gruppo Fininvest e amico di Berlusconi, tramite un conto corrente riconducibile alla società offshore All Iberian, controllata da Berlusconi. Metta avrebbe poi usato quei soldi per acquistare un appartamento e in seguito aveva anche iniziato a collaborare con lo studio di Previti; i giudici di Milano gli chiesero conto della provenienza di quei soldi, Metta dichiarò che erano parte di un’eredità recentemente acquisita. Dopo moltissime vicissitudini nel 2007 la Cassazione condannò Previti e altri due avvocati Fininvest a un anno e mezzo di reclusione per corruzione giudiziaria, e Vittorio Metta a due anni e otto mesi; la prescrizione per Berlusconi arrivò nel 2001 perché il suo coinvolgimento nella vicenda era stato accertato fino al 1991, a differenza degli altri imputati per i quali era continuato fino al 1992.
Nel 2004, su richiesta di CIR, si aprì a Milano un contenzioso civile per quantificare il danno economico subìto da CIR per la mancata acquisizione di Mondadori. Il 3 ottobre 2009 il Tribunale stabilì che la Fininvest doveva versare a CIR circa 750 milioni di euro, sulla base della condanna definitiva ricevuta da Previti, Metta e le altre persone coinvolte. Nei processi civili le sentenze – salvo alcune eccezioni – sono immediatamente esecutive, non bisogna aspettare l’ultimo grado di giudizio: eventualmente si torna indietro. Il giudice Raimondo Mesiano, l’autore della sentenza, fu in quei giorni al centro di un caso mediatico perché durante una trasmissione di Canale 5 andò in onda un servizio piuttosto canzonatorio, che lo mostrava ripreso di nascosto mentre era in strada e lo prendeva in giro per il fatto che portasse dei calzini azzurri.
Nel 2010 però la Corte di Appello di Milano rilevò che Mesiano aveva emesso la sentenza senza aver interpellato nessun consulente tecnico; venne quindi formata una commissione di tre esperti, che ricalcolò al ribasso il risarcimento, sostenendo che ci fu un errore di calcolo. La Corte di Milano approvò la modifica richiesta dalla commissione, e Fininvest fu quindi condannata a pagare 540 milioni di euro, che salirono però a circa 560 con gli interessi; in tutto 190 milioni in meno rispetto alla sentenza del 2009.
foto: VINCENZO PINTO/AFP/Getty Images