Una vittoria per Assad?
L'accordo tra Stati Uniti e Russia potrebbe essere una vittoria per il regime siriano, ma anche Putin e Obama hanno ottenuto quello che volevano
Oggi un ministro del governo siriano ha dichiarato che l’accordo tra Russia e Stati Uniti è una “vittoria” per il regime di Assad. «Questi accordi sono i benvenuti. Da una parte, aiuteranno i siriani a uscire dalla crisi, dall’altra eviteranno una guerra eliminando il pretesto di chi ci voleva attaccare», ha dichiarato Ali Haidar, ministro per la riconciliazione nazionale.
Haidar non fa parte della cerchia ristretta dei fedelissimi di Assad e si ritiene che le sue parole non siano rappresentative del pensiero del resto del regime siriano. Ma lo stesso Assad, sabato 13, ha lasciato intuire che anche lui considera gli accordi tra Stati Uniti e Russia una sua vittoria personale.
Sabato 14, dopo tre giorni di negoziati a Ginevra, il segretario di stato americano John Kerry e il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov hanno raggiunto un accordo per obbligare la Siria a distruggere il suo arsenale di armi chimiche entro la metà del 2014 e per permettere agli ispettori dell’ONU di verificare che le operazioni si svolgano correttamente.
«Kerry, Obama e l’amministrazione americana cercano di apparire vittoriosi, come se le loro minacce avessero ottenuto un successo» ha detto Assad in un’intervista ad una televisione russa venerdì 13: «Queste sono cose insignificanti per noi: ciò che importa è che la nostra decisione è stata presa sulla base delle nostre convinzioni e di un significativo ruolo della Russia».
Una vittoria del regime
In molti sono d’accordo con le parole di Assad e del suo ministro: l’accordo trovato ieri a Ginevra è una vittoria del regime siriano. Di questa opinione sono quasi tutte le forze ribelli. Singoli attivisti, sui forum e sui social network, ma anche alcuni dei leader più importanti, hanno definito l’accordo “oltraggioso”.
Tra i molti commentatori che hanno pubblicato analisi e opinioni sull’accordo, uno dei più critici è stato Shadi Hamid, direttore delle ricerche al Brookings Doha Center, un centro di ricerche sul Medio Oriente. In un articolo sull’Atlantic, Hamid ha definito l’accordo una mossa che «rafforza Assad rimuovendo la minaccia di un intervento militare americano».
Secondo Hamid, Assad è stato premiato per aver usato le armi chimiche, invece che punito. Gli Stati Uniti hanno rinunciato per il momento all’intervento militare e in cambio Assad non deve concedere molto. Secondo Hamid è difficile che, dopo quello che è accaduto in questi giorni, Obama proponga di attaccare la Siria con uno scopo diverso dalla distruzione delle armi chimiche. Armi che al regime non costa più di tanto consegnare, visto che non sono mai state centrali nella sua strategia. Il regime è sopravvissuto sino ad ora contando sui suoi armamenti convenzionali e, a quanto pare, non ha bisogno del gas per mantenere la situazione in equilibrio.
In realtà, sempre secondo Hamid, la “linea rossa” di Obama permetterà al regime di intensificare ancora di più il massacro del suo popolo. Sostenere che l’uso delle armi chimiche rappresenta una linea rossa, infatti, significa che tutto ciò che si trova al di qua della linea rossa è concesso. Eliminate le armi chimiche – dopo che il regime avrà messo ostacoli e creato ritardi agli ispettori che dovranno occuparsene – gli Stati Uniti non avranno più nessuna scusa per attaccare il regime.
Una vittoria per Putin
Quasi tutti i commentatori sono altrettanto d’accordo che anche il presidente Vladimir Putin ha ottenuto una grande vittoria. Fred Kaplan, un giornalista esperto di politica estera che insieme ad altri colleghi del Boston Globe ha vinto il premio Pulitzer nel 1983, ha scritto su Slate che Putin ha ottenuto parecchio dagli accordi.
Secondo Kaplan, Putin ha davvero intenzione di distruggere l’arsenale di armi chimiche siriane. La Siria è di fatto uno “stato vassallo” della Russia. Violando le regole internazionali, ad esempio utilizzando le armi chimiche, Assad appare come un sottoposto fuori controllo e quindi fa apparire debole la leadership russa. Con gli accordi di sabato, Putin ha rimesso sotto controllo il suo alleato e nel contempo lo ha protetto, impedendo un intervento militare che avrebbe potuto avere come effetto secondario la caduta del regime. Così facendo la Russia è tornata ad avere un ruolo centrale nella diplomazia mediorientale. O, come ha spiegato un lettore dell’Atlantic la cui lettera è stata pubblicata venerdì scorso: «Se foste un paese mediorientale, di chi vorreste la protezione adesso?».
Una vittoria per Obama?
Secondo Kaplan e altri commentatori (qui ad esempio un’analisi del Financial Times), l’accordo è in qualche misura anche una vittoria per l’amministrazione americana. Obama ha evitato un rischioso voto al Congresso sull’intervento: oggi può sostenere che è stata la sua minaccia dell’uso della forza a piegare il regime siriano. Inoltre, secondo molti analisti Obama era da sempre stato contrario all’intervento, osteggiato da una grossa fetta dell’opinione pubblica americana. Aver evitato il conflitto con una soluzione diplomatica è stata per lui una vittoria.
E i siriani?
Il popolo siriano è, secondo quasi tutti gli analisti, lo sconfitto principale. Gli accordi hanno semplicemente riportato il paese a prima del 21 agosto, quando circa 1.400 persone morirono nell’attacco con armi chimiche che ha causato l’inizio della crisi.
Secondo i ribelli siriani, se anche l’accordo dovesse riuscire nell’eliminare l’arsenale chimico di Assad, lascerà nelle mani del regime le armi convenzionali, compresi i missili balistici e gli aerei da guerra. Inoltre, sostengono alcuni capi dei ribelli, individuare e distruggere l’arsenale di Assad non sarà così facile e il regime farà di tutto per ostacolare le ispezioni. Già ora starebbe spostando parte delle armi dai depositi in Siria all’Iraq – una possibilità che il governo iracheno ha smentito con forza.
Anche ipotizzando che gli accordi portino effettivamente alla distruzione dell’arsenale chimico siriano, c’è una guerra civile ancora in corso, sempre più complicata e difficile da analizzare anche per l’estrema frammentazione dei ribelli. Secondo le stime ONU ci sono già stati 100 mila morti, la stragrande maggioranza uccisa senza bisogno di ricorrere ad armi chimiche. Per il momento né Russia né Stati Uniti sembrano aver speso molte energie per cercare di mettere fine al conflitto.