Cosa succede al gruppo Riva
La procura che indaga sull'ILVA ha sequestrato beni per oltre 900 milioni: l'azienda ha chiuso tutti i suoi stabilimenti, i sindacati parlano di "rappresaglia"
La società Riva Forni Elettrici – ex Riva Acciaio, quella dell’ILVA di Taranto – ha comunicato la cessazione di tutte le attività in sette stabilimenti e due società di servizi e trasporti che si trovano in Italia e che fanno parte del gruppo. La decisione è stata presa dopo il sequestro di beni mobili e immobili e di conti correnti per 916 milioni di euro notificato alla società lo scorso 9 settembre dalla procura di Taranto, che indaga sull’ILVA per disastro ambientale. Coinvolge 1402 dipendenti che da domani sospenderanno «le loro attività lavorative». Il custode dei beni sequestrati alla famiglia Riva scelto dal giudice, Mario Tagarelli, potrebbe però ordinare la ripresa dell’attività e il pagamento degli stipendi.
Tutte queste attività, si spiega nella nota del gruppo Riva, «non rientrano nel perimetro gestionale dell’ILVA e non hanno quindi alcun legame con le vicende giudiziarie che hanno interessato lo stabilimento ILVA di Taranto». Ma la decisione si è resa «purtroppo necessaria» poiché il sequestro preventivo
«sottrae all’azienda ogni disponibilità degli impianti e determina il blocco delle attività bancarie, impedendo la normale prosecuzione operativa della società: ciò fa sì che non esistano più le normali condizioni operative ed economiche per la prosecuzione della normale attività».
Gli stabilimenti interessati sono quelli di Verona (429 dipendenti), Caronno Pertusella (Varese, 162 dipendenti), Lesegno (Cuneo, 257 dipendenti), Malegno, Sellero e Cerveno in provincia di Brescia (65, 232 e 137 dipendenti), Annone Brianza (Lecco, 41 dipendenti) e le società sono Muzzana Trasporti e Taranto Energia (114 dipendenti). Sono esclusi dal fermo le attività estere della Riva Forni Elettrici che ha stabilimenti produttivi in Francia, Germania, Belgio, Spagna e Canada.
Il sequestro notificato il 9 settembre, che ha portato alla decisione del gruppo, estende il decreto di sequestro preventivo deciso il 24 maggio scorso: un sequestro per 8 miliardi e 100 milioni di euro «funzionale alla confisca per equivalente», cioè legato alla quantificazione dei danni ambientali prodotti dall’ILVA alla città di Taranto e basato sulle relazioni dei periti consegnate alla Procura e al gip. Il grande sequestro è stato fatto in base alla legge 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa delle imprese, che dal 2011 comprende anche i reati ambientali e che prevede “la confisca del profitto che l’ente ha tratto dal reato, anche nella forma per equivalente”.
Nel decreto di sequestro si precisava che i beni mobili, immobili e le disponibilità economiche sequestrate non dovevano essere «strettamente funzionali all’attività dello stabilimento di Taranto» e riguardavano invece il patrimonio della famiglia Riva. L’attività produttiva dell’ILVA, gestita ora da un commissario straordinario, Enrico Bondi, proseguirà quindi con regolarità come stabilito dalla legge 231 del 2012, quella che la Consulta ha poi dichiarato costituzionale. Almeno in teoria. Da una delle due centrali della Taranto Energia (coinvolta nella chiusura) dipende infatti l’alimentazione dello stabilimento dell’ILVA.
I sindacati definiscono la decisione sulla chiusura “una rappresaglia” del gruppo contro il sequestro: davanti ad alcuni stabilimenti si sono già svolte delle manifestazioni organizzate dai dipendenti. Il segretario nazionale della FIOM, Maurizio Landini, ha definito la decisione «un atto di drammatizzazione inaccettabile perché scarica sui dipendenti responsabilità non loro» e ha chiesto al governo di convocare un incontro e di commissariare – «come previsto dal decreto ILVA» – tutte le società controllate dal gruppo, per garantire l’occupazione e la continuità produttiva.