I colloqui di Ginevra sulla Siria
Russia e Stati Uniti vogliono una conferenza di pace internazionale: si rivedranno entro la fine del mese, ma ci sono tre problemi da risolvere
Oggi, venerdì 13 settembre, John Kerry e Sergei Lavrov, i ministri degli Esteri rispettivamente di Stati Uniti e Russia, si sono incontrati per il secondo giorno consecutivo a Ginevra, in Svizzera, per discutere di una possibile soluzione della crisi siriana. Kerry e Lavrov hanno concluso l’incontro dicendo che si rincontreranno tra due settimane a New York, all’Assemblea Generale dell’ONU, sperando di riuscire a convocare al più presto una nuova conferenza internazionale sulla Siria.
La questione al centro dei negoziati è stata di nuovo l’eliminazione dell’arsenale chimico controllato dal presidente Bashar al Assad, un tema che dal 9 settembre scorso – cioè dalla proposta fatta dal segretario di stato John Kerry a Londra, considerata per lo più retorica ma poi presa sul serio – sta monopolizzando la discussione internazionale sulla Siria. Insieme ai due ministri degli Esteri di Stati Uniti e Russia, oggi erano presenti anche un rappresentante della Siria e l’inviato all’ONU della Lega Araba. Nel caso in cui i colloqui tra Stati Uniti e Russia portassero a un accordo, hanno detto nei giorni scorsi i governi coinvolti, si eviterà l’intervento militare statunitense nel paese.
Negli ultimi giorni è sembrato che il governo siriano, sostenuto da quello russo, accettasse la proposta: giovedì Assad ha detto a una televisione russa di essere pronto a mettere le armi chimiche siriane sotto il controllo internazionale, e diverse ore dopo l’inviato siriano alle Nazioni Unite ha confermato che la Siria ha presentato tutta la documentazione per diventare parte del trattato contro le armi chimiche – la Siria è uno dei cinque paesi del mondo non firmatari della Convenzione del 1992 che mette al bando l’uso, la produzione e l’accumulazione di armi chimiche.
Nel frattempo Francia, Regno Unito e Stati Uniti hanno presentato una nuova bozza di risoluzione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che però non sarà discussa né votata fino al termine degli incontri di Ginevra. Questi ultimi, comunque, per ora non hanno portato ad alcun risultato, e le posizioni di Stati Uniti e Russia, scrive CNN, rimangono molto distanti. Kerry ha spiegato che per essere accettato l’accordo dovrà essere “globale”, “verificabile”, “credibile” e “in grado di essere attuato in maniera tempestiva”. Ci sono almeno tre problemi però nella proposta, e in tutto quello che ne è nato da lì fino ad oggi.
Il primo riguarda la scarsa conoscenza degli Stati Uniti dell’ampiezza e della localizzazione dell’arsenale chimico della Siria, sviluppato in gran segreto dal governo di Damasco nel corso degli ultimi 40 anni. Il Wall Street Journal ha scritto oggi che una divisione segreta dell’esercito siriano particolarmente fedele al regime di Assad, l’unità d’elite 450, sta spostando parte dell’arsenale chimico della Siria in circa 50 siti diversi, per rendere ancora più difficile rintracciare e quantificare i gas letali. Gli Stati Uniti stanno usando i satelliti per mappare il movimento dei veicoli impiegati per i trasferimenti, ma le immagini non mostrano sempre il carico trasportato: «Oggi sappiamo molto meno sulla localizzazione delle armi chimiche rispetto a quanto ne sapevamo sei mesi fa», spiega una fonte anonima al WSJ.
Il secondo problema riguarda il rifiuto dei ribelli siriani appoggiati dall’Occidente, quindi quelli più moderati, di accettare la proposta. L’Esercito Libero Siriano, l’organizzazione ombrello che racchiude diversi gruppi di ribelli che combattono il regime di Assad, ha fatto sapere di non appoggiare gli sforzi diplomatici degli Stati Uniti, che farebbero solo “guadagnare tempo” ad Assad, permettendogli di evitare l’intervento militare degli Stati Uniti ed eventualmente nascondere parte del suo arsenale chimico. In generale la fiducia dei ribelli nei confronti dei paesi occidentali è scarsa da tempo. Le armi richieste, che servirebbero per riequilibrare la disparità militare con l’esercito siriano, sono iniziate ad arrivare solo da due settimane: sono principalmente armi leggere e la loro consegna fa parte di un piano controllato dalla CIA che ha dei tempi di realizzazione molto lunghi. «Non sarei sorpreso se il risultato di queste negoziazioni fosse la permanenza al potere del presidente», ha detto il comandante dei ribelli alleati dell’Occidente Mohammad al-Daher.
Il terzo problema riguarda il nuovo ruolo della Russia in tutta la faccenda siriana. Il presidente Vladimir Putin è stato il primo a rispondere positivamente alla proposta di Kerry, “prolungando la vita”, dicono in molti, al governo di Assad. Come scrive oggi Daniele Raineri sul Foglio, Putin è riuscito a rendersi indispensabile in qualsiasi soluzione diplomatica che si proporrà d’ora in avanti sulla Siria. Nella lettera pubblicata ieri sul New York Times, Putin ha insistito molto sulla necessità per gli Stati Uniti di agire all’interno del Consiglio di Sicurezza, e non aggirarlo con un intervento militare deciso unilateralmente dal Congresso o dal presidente. Nel Consiglio di Sicurezza, però, la Russia ha il potere di veto e non sembra intenzionata ad appoggiare alcuna risoluzione della crisi siriana che possa danneggiare i suoi interessi, che al momento coincidono con quelli di Assad.
Il governo di Damasco ha detto che presenterà all’ONU tutta la documentazione relativa alle sue armi chimiche tra 30 giorni, ma allo stesso tempo Assad ha aggiunto che continuerà a collaborare sulla proposta solo se gli Stati Uniti smetteranno di minacciare un attacco militare in Siria. I 30 giorni sono però considerati un periodo di tempo troppo lungo da Kerry, che ha anche aggiunto che in caso di mancato accordo gli Stati Uniti sono pronti a lanciare l’attacco contro la Siria.
Foto: John Kerry e Sergei Lavrov, ministri degli Esteri rispettivamente di Russia e Stati Uniti (LARRY DOWNING/AFP/Getty Images)