Perché gli articoli del Post non sono firmati
(Quasi mai): una risposta con l'aiuto dell'Economist
Capita meno spesso – la maggior parte dei lettori frequenti si è abituata e ha compreso da sé il senso – ma ancora capita che ogni tanto qualcuno chieda nei commenti agli articoli del Post come mai la grandissima parte di questi articoli non sono firmati. Approfittiamo di una spiegazione alla stessa domanda data dal sito dell’Economist – in una serie interessante in occasione dei 170 anni del giornale – per rispondere e aggiungere qualcosa.
Storicamente, molte pubblicazioni stampavano articoli senza firme per dare ai singoli autori la libertà di assumere voci diverse e per permettere ai primi giornali di dare l’impressione che i loro autori fossero più numerosi (i primi numeri dell’Economist erano scritti interamente dal fondatore James Wilson). Ma dopo essere nato come un modo di far sembrare che una persona fossero molte, l’anonimato è poi divenuto un modo per ottenere l’effetto opposto: permette a molti autori diversi di parlare con una voce collettiva. Gli editoriali sono discussi e dibattuti ogni settimana in riunioni a cui partecipano tutti i membri dell’editorial staff. I giornalisti spesso collaborano sugli articoli. E alcuni articoli sono aggiornati e corretti estesamente. Il risultato è che gli articoli sono spesso l’opera della coscienza collettiva dell’Economist, piuttosto che di un singolo autore. Ma la ragione maggiore per l’anonimato è la convinzione che quello che viene scritto sia più importante di chi lo scrive. Come diceva Geoffrey Crowther, direttore dal 1938 al 1956, l’anonimato mantiene l’autore “non il padrone ma il servitore di una cosa molto più importante di lui… dà al giornale una straordinaria forza di pensiero e principi”.
Le eccezioni, continua l’Economist, riguardano alcuni report speciali composti interamente da un singolo autore, o – sul sito – gli articoli di diversi autori sui blog multiautore, per evitare confusioni (per il Post le eccezioni sono: le opinioni indipendenti e personali dei suoi blogger; gli articoli di più intenso impegno individuale da parte dell’autore, che meritano maggior riconoscimento, quando l’autore lo desidera).
Quelle dell’Economist sono motivazioni che il Post condivide, e a cui ne aggiungiamo altre tre, in nessun ordine di importanza: uno, lo stile e la scrittura del Post privilegiano le informazioni, i fatti, i dati, sulle considerazioni, sulle creatività stilistiche e letterarie, sulle valutazioni personali e gli estetismi di scrittura (per i quali abbiamo grande ammirazione, quando espressi con capacità e originalità); di conseguenza non c’è necessità di identificazione di uno stile peculiare di un autore o del creatore di particolari invenzioni espositive. Due, rivendicandone l’efficacia il Post fa grande uso – come fonte delle notizie e della loro affidabilità – di un lavoro di lettura, selezione, valutazione e aggregazione di contenuti giornalistici esistenti online e prodotti da altri giornali e giornalisti, che vengono sempre indicati in questo senso. Gli autori degli articoli del Post sono spesso i mediatori che conducono questo lavoro su storie create da altri. Tre, “la convinzione che quello che viene scritto sia più importante di chi lo scrive” è rafforzata e resa più importante nel contesto e nel tempo dell’informazione online, che trova i lettori più inclini a essere distratti, nella lettura e nel giudizio, dall’identità degli autori (nel bene e nel male): sempre ricordando che le persone che fanno il Post e condividono le sue cose sono note e identificabili. Con quello a cui siamo abituati – da autori o commentatori di altri autori: ormai siamo tutti entrambi le cose -, poter evitare che il fertile terreno delle discussioni venga dirottato da accuse personali e pregiudizi fuorvianti (favorevoli o sfavorevoli che siano) è, se anche a voi interessano le cose più di chi le dice, un grande privilegio.
(immagine di Gabriele Saveri)