Il Cile e i 40 anni del golpe
Per l'anniversario dell'inizio della dittatura si discute molto, ci sono polemiche e ammissioni di colpa, e si cerca di fare processare chi uccise Victor Jara
In Cile sono in corso molte commemorazioni per i 40 anni dal golpe e dall’instaurazione della dittatura che fece uccidere più di tremila persone (il governo cileno ha riconosciuto 40 mila torturati, uccisi o perseguitati dal regime). Intorno all’anniversario c’è da giorni un intenso dibattito: il 4 settembre l’associazione dei giudici cileni ha presentato un documento formale di scuse per le azioni dei propri membri durante la dittatura: «Va riconosciuto in modo chiaro e completo: il sistema giudiziario e soprattutto la Corte Suprema a quel tempo non sono riusciti nel loro ruolo di tutela dei diritti umani fondamentali». Tra le principali responsabilità della magistratura c’è quella di aver respinto più di 5 mila denunce di sparizione di oppositori politici di Pinochet.
Ieri, il presidente uscente del Cile Sebastián Piñera (ci saranno nuove elezioni a novembre), a capo di una coalizione di centrodestra composta da due partiti che sostennero allora la dittatura di Pinochet, ha lanciato un appello perché chiunque abbia informazioni sulle persone scomparse in quegli anni o sulle circostanze della loro morte si faccia avanti: «Le verità sono ancora troppo poche», ha detto. Molti uomini che sono stati funzionari di Pinochet e che oggi hanno un ruolo nel governo di Piñera hanno presentato le loro scuse. Ma nel paese c’è un grande dibattito sulle celebrazioni ufficiali che inizieranno il prossimo 9 settembre: solo quattro dei nove candidati alla presidenza alle elezioni del 17 novembre hanno accettato l’invito del governo alle cerimonie. Le due principali candidate hanno preso posizioni opposte: la candidata della maggioranza Evelyn Matthei ha accettato di partecipare, mentre la favorita alla vittoria, la socialista ed ex presidente Michelle Bachelet, si è rifiutata. Il padre di Michelle Bachelet, contrario al golpe, morì nelle carceri di Pinochet, mentre il padre di Matthei, ancora vivo, fu uno stretto collaboratore del dittatore. Alle critiche arrivate dal governo per la decisione di Bachelet e dell’opposizione di non partecipare alle cerimonie ha risposto il presidente del Partido Socialista, Osvaldo Andrade: «Non è possibile partecipare a un atto organizzato da un governo pieno di complici passivi»
Intanto, mercoledì 4 settembre il Center for Justice and Accountability, un’organizzazione internazionale per la difesa dei diritti umani con sede a San Francisco, ha avviato una causa contro un ex ufficiale dell’esercito cileno accusato in Cile di aver ucciso il celebre cantante folk Víctor Jara cinque giorni dopo il colpo di stato militare dell’11 settembre 1973 che portò alla destituzione del presidente Salvador Allende (morto il giorno del golpe) e alla salita al potere di una giunta militare guidata dal generale Augusto Pinochet.
La causa è stata presentata in un tribunale della Florida, nel distretto di Jacksonville, su richiesta della vedova e delle figlie di Jara in base all’Alien Tort Claims Act (ATCA)del 1991, una serie di leggi federali che permettono ai cittadini stranieri di intraprendere un’azione legale per ottenere un risarcimento contro chi vive negli Stati Uniti e ha commesso delle violazioni dei diritti umani al di fuori degli Stati Uniti. L’ex tenente cileno Pedro Barrientos Nunez, che ora ha 64 anni, si trova negli Stati Uniti dal 1989 ed è diventato un cittadino americano. Vive a Deltona, in Florida e si occupa di comprare e vendere automobili.
Víctor Jara era un cantautore, un musicista e un regista teatrale cileno che negli anni Settanta, dopo la sua morte, divenne per il Cile e tutta l’America latina un simbolo dell’esperienza socialista del presidente Salvador Allende e della protesta contro la dittatura. Era stato un militante del partito comunista cileno e membro del comitato centrale della gioventù comunista. Il giorno dopo il golpe del 1973, l’esercito cominciò ad arrestare dissidenti, attivisti di sinistra e altre persone ritenute pericolose. Tra loro c’era anche Víctor Jara che aveva 41 anni. Il 12 settembre venne riconosciuto nello stadio di Santiago del Cile dove l’esercito aveva riunito i prigionieri e condotto negli spogliatoi. Il 16 settembre venne trasferito in un secondo stadio. Anche qui Jara venne separato dal resto del gruppo e condotto nei sotterranei, insieme ad altre quattro persone. Il suo corpo venne ritrovato pochi giorni dopo, vicino a un binario ferroviario nei pressi del cimitero di Santiago. Aveva i segni di numerose violenze e le dita delle mani erano state tutte fratturate. Il medico che condusse l’autopsia trovò sul cadavere 44 colpi di arma da fuoco.
Dopo anni di repressioni violente e limitazioni della libertà, alla fine degli anni Ottanta la dittatura cilena fu lentamente smantellata, e il Cile divenne un paese democratico.Tra il 2008 e il 2012, dopo diverse aperture e chiusure del caso e la riesumazione nel 2009 del corpo di Jara, furono individuati, arrestati e in alcuni casi incriminati diversi ex militari responsabili dell’omicidio: Hugo Sanchez Marmonti – ritenuto coautore dell’omicidio – Raùl Jofré Gonzàles, Edwin Dimter Bianchi, Nelson Hasse Mazzei, Luis Bethke Wulf, Jorge Smith Gumucio e Roberto Souper Onfray. Tra loro, anche Pedro Barrientos Nunez. Barrientos è stato messo sotto inchiesta lo scorso dicembre, accusato dall giudice Miguel Vàsquez di essere colui che colpì mortalmente Víctor Jara.
Barrientos è stato rintracciato da una televisione cilena a Deltona in Florida lo scorso anno e ha negato ogni accusa: «È falso. Non sono mai stato in quello stadio. Non lo conosco e non sapevo chi fosse il cantante Jara a quell’epoca. Noi eravamo dislocati nell’arsenale di guerra e nella parte est della Moneda, il palazzo presidenziale». Ma una dozzina di soldati del suo reggimento hanno testimoniato contro di lui. Il racconto di uno di loro fu decisivo per ricostruire l’esatta successione dei fatti. José Paredes allora aveva 18 anni, faceva il soldato di leva e si trovava nella stanza dove Jara venne rinchiuso: «Lo avevano messo su una barella, di quelle dell’esercito. Lo tenevano schiacciato e lo picchiavano, lo picchiavano, lo picchiavano… Poi Barrientos ha deciso di giocare alla roulette russa, così ha preso la pistola, si è avvicinato a Víctor Jara, che era in piedi con le mani ammanettate dietro la schiena, ha girato il cilindro, ha puntato la pistola contro la parte posteriore del collo e ha sparato».
Il giudice, dopo l’accusa contro Barrientos, ha firmato un mandato di cattura internazionale tramite l’Interpol e a gennaio ha presentato domanda di estradizione in Cile. La Corte Suprema cilena ha autorizzato la richiesta, ma il governo non l’ha mai inviata agli Stati Uniti. Il documento di 543 pagine, secondo il Ministero degli Esteri, sarebbe ancora in corso di traduzione. Dopo la morte di Jara, la moglie Joan, una ballerina di origine britannica che si era trasferita in Cile nel 1954, lasciò il paese con le sue due giovani figlie. Ci tornò 11 anni dopo e ha impegnato gli ultimi 40 anni della sua vita a cercare di individuare i responsabili dell’omicidio: il suo obiettivo finale non è ottenere un risarcimento economico ma usare l’unico strumento legale a disposizione negli Stati Uniti per individuare Barrientos come responsabile. «Non ci sono soldi che possono riparare il danno subito» ha detto «Ho avuto due vite: una prima e una dopo il 1973 ».
Foto: il cantate Victor Jara (AP Photo/Fundacion Victor Jara, Patricio Guzman)