Il primo voto sull’intervento in Siria
La Commissione del Senato USA ha approvato un documento che autorizzerebbe Obama, ma con molti voti contrari
Mercoledì 4 settembre la Commissione per le relazioni estere del Senato statunitense ha approvato una risoluzione a sostegno dell’intervento militare degli Stati Uniti in Siria, in risposta alla richiesta del presidente Barack Obama di potere attaccare il paese dopo l’utilizzo di armi chimiche sulla popolazione. Come era stato anticipato, la risoluzione prevede che le operazioni militari durino al massimo 60 giorni, con la possibilità di essere estese per altri 30 dopo una nuova consultazione con il Congresso e impone che i soldati statunitensi non siano impegnati direttamente sul territorio siriano. La risoluzione sarà dibattuta la settimana prossima in Senato e sarà probabilmente votata entro la fine della stessa settimana.
L’approvazione del documento in Commissione è un primo passo importante per Obama, che da giorni spinge insieme con gli altri membri della sua amministrazione per l’intervento militare, ma il conteggio dei voti dà qualche preoccupazione su cosa potrà accadere in aula al Senato e di riflesso alla Camera. A favore della risoluzione hanno votato 10 senatori, mentre 7 hanno votato contro, e uno si è astenuto. Tra i voti contrari ci sono stati quelli di due senatori democratici, ed è democratico anche quello che si è astenuto: Edward J. Markey del Massachussetts, senatore dal 16 luglio scorso (ha vinto le elezioni speciali per assegnare il seggio lasciato vacante da John Kerry, diventato Segretario di stato). Tre senatori repubblicani hanno votato a favore della risoluzione in Commissione, compreso John McCain, che avrebbe voluto una formulazione più incisiva del testo e lasciare margini d’azione più ampi a Obama per l’intervento militare.
Come avevano fatto con la Commissione del Senato martedì, mercoledì John Kerry, il ministro della Difesa Chuck Hagel e il capo dello Stato maggiore congiunto Martin Dempsey hanno risposto alle domande della Commissione per le relazioni estere della Camera. Kerry ha ripetuto diversi punti espressi in precedenza, aggiungendo che in mancanza di un intervento militare i gruppi più estremisti dei ribelli siriani si potrebbero rafforzare, costituendo un nuovo pericolo oltre al regime del presidente siriano Bashar al Assad. Gli stessi gruppi, ha detto Kerry, potrebbero ricevere nuovo sostegno dai paesi arabi a favore dei ribelli, con pericolose conseguenze. Dempsey ha spiegato che sono stati valutati i modi in cui Assad potrebbe condurre rappresaglie e che l’esercito è pronto ad affrontarli.
A Stoccolma, dove è andato in visita prima di recarsi a San Pietroburgo per i due giorni del G20, Barack Obama ha spiegato in una conferenza stampa che il voto al Congresso non è un test su di lui, ma sullo stesso Congresso e sulla comunità internazionale: “Non ho fissato alcuna linea rossa, il mondo lo ha fatto. La mia credibilità non è messa alla prova, lo è quella della comunità internazionale. E così anche la credibilità dell’America e del Congresso è messa alla prova”. Obama confida di avere un voto parlamentare definitivo entro la metà di settembre, ma i tempi si potrebbero allungare soprattutto alla Camera dove l’esito della votazione non è scontato. Quando la Camera avrà votato la propria risoluzione, il Senato avrà il compito di armonizzare la propria di conseguenza.
Mercoledì l’Assemblea nazionale della Francia, il cui governo più di altri ha dato il proprio sostegno alla proposta di Obama di attaccare la Siria, ha discusso la situazione siriana e la possibilità di un intervento militare. Il Parlamento francese non ha però votato ed è probabile che ciò non avverrà nemmeno nell’imminenza di un attacco, perché il presidente francese ha il potere di avviare iniziative militari senza consultarsi con l’Assemblea.
In Siria, il viceministro degli Esteri, Faisal Mekdad, ha spiegato che il regime si sta mobilitando presso i propri alleati in vista di un possibile attacco e che da questi sta ricevendo “ogni tipo di sostegno”. Il ministro ha citato nel suo discorso Iran, Russia, Sudafrica e alcuni paesi arabi. La televisione di stato siriana ha smentito la notizia circolata mercoledì sulla defezione di uno dei generali del regime, Ali Habib.