Che cos’è la Teologia della Liberazione?

E perché le aperture della Chiesa di Papa Francesco sarebbero molto importanti, se ci fossero

MEXICO CITY, MEXICO - JUNE 25: Maria de la Luz Espinosa, 8, collects damp laundry ahead of a rainstorm in a squatters village on June 25, 2012 in Mexico City, Mexico. Residents of the neighborhood, known as Telecommunications, moved onto the city property 6 years ago and live without running water, have little electricity and are subject to frequent flooding from rainstorms. Although incomes have risen nationwide in recent years, Mexico's vast income disparity is a major theme ahead of Sunday's upcoming presidential election. (Photo by John Moore/Getty Images)
MEXICO CITY, MEXICO - JUNE 25: Maria de la Luz Espinosa, 8, collects damp laundry ahead of a rainstorm in a squatters village on June 25, 2012 in Mexico City, Mexico. Residents of the neighborhood, known as Telecommunications, moved onto the city property 6 years ago and live without running water, have little electricity and are subject to frequent flooding from rainstorms. Although incomes have risen nationwide in recent years, Mexico's vast income disparity is a major theme ahead of Sunday's upcoming presidential election. (Photo by John Moore/Getty Images)

Mercoledì 4 settembre due pagine dell’Osservatore Romano, il quotidiano del Vaticano, erano dedicate agli scritti del sacerdote e teologo peruviano Gustavo Gutiérrez, considerato uno dei padri della Teologia della Liberazione. In particolare, il giornale ha pubblicato un estratto del libro “Dalla parte dei poveri. Teologia della liberazione, teologia della Chiesa” che Gutiérrez scrisse nel 2004 con Gerhard Ludwig Müller, l’arcivescovo tedesco nominato nel 2012 da Ratzinger a capo della Congregazione per la Dottrina della fede.

Il fatto che quel volume sia stato pubblicato in Italia e soprattutto che l’Osservatore Romano ne parli è stato interpretato da molti giornali italiani e stranieri come una riconciliazione tra il movimento religioso noto come “Teologia della Liberazione” e il Vaticano. Questo sarebbe confermato dal fatto che Müller – oggi a capo dell’organismo incaricato di «promuovere e tutelare la dottrina sulla fede», lo stesso che negli anni ottanta condannò alcuni eccessi della Teologia della Liberazione – consideri quel suo scritto ancora valido e attuale: lo presenterà infatti pubblicamente con Guitérrez domenica prossima al Festivaletteratura di Mantova.

Quando nacque la Teologia della Liberazione
Il primo a parlare di “teologia della liberazione” fu Gustavo Gutiérrez, nel luglio del 1968 in una piccola città del Perú, Chimbote, davanti a un gruppo di catechisti. Quell’incontro è considerato la data di nascita della Teologia della Liberazione, anche se fu soprattutto la seconda conferenza dei vescovi latinoamericani, che si tenne un mese dopo nella città colombiana di Medellín, a darle rilevanza. La denominazione divenne universale dopo la pubblicazione nel 1971 del saggio di Gutiérrez «Teologia della Liberazione».

Per l’America Latina erano gli anni della guerra fredda tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, quelli dei regimi militari autoritari che si imposero un po’ dappertutto e quelli, infine, di una gerarchia ecclesiastica che scelse di schierarsi a fianco di questi regimi in nome della lotta al comunismo, indulgente con i loro crimini quando non complice: in certi casi, come in Argentina, gran parte dei vertici cattolici appoggiarono pubblicamente i dittatori e le giunte militari. Anche come reazione a questo atteggiamento – dopo il Concilio Vaticano II, il più grande tentativo compiuto dalla Chiesa cattolica di modernizzarsi dall’inizio della sua storia – nacque la corrente della Liberazione.

Liberazione da che cosa
Il contributo maggiore della Teologia della Liberazione fu la sua attenzione ai poveri. Venne definita dallo stesso Gutiérrez come «tentativo di interpretare la fede a partire dalla prassi storica concreta, sovversiva e liberatrice, dei poveri di questo mondo, delle classi oppresse, dei gruppi etnici disprezzati, delle culture emarginate»: lega infatti la riflessione sulla fede all’azione politica, sottolineando la forza di liberazione sociale del messaggio cristiano e la conseguente necessità di agire per la liberazione dei più poveri. E i poveri erano considerati la vera sorgente del sapere teologico e dottrinale: «Gli oppressi sono il vero locus theologicus per la comprensione della verità e della prassi cristiana» disse il teologo della Liberazione spagnolo Jon Sobrino.

Per leggere e interpretare la società e le ingiustizie, i teologi della Liberazione usarono la sociologia, la storia, l’economia e l’antropologia rielaborate con le categorie della teologia e del Vangelo. Ben presto l’analisi marxista e la lotta di classe diventarono centrali in molte delle loro proposte. Alcuni dissero che Marx avrebbe dovuto essere per la chiesa moderna ciò che Aristotele era stato per quella medioevale. Altri arrivarono a predicare il rifiuto della comunione per i ricchi, mentre altri ancora parteciparono attivamente ai movimenti rivoluzionari di ispirazione socialista o comunista che sorgevano un po’ ovunque nel continente: in particolare molti sacerdoti parteciparono alla guerriglia sandinista in Nicaragua. Il nicaraguense Ernesto Cardenal dichiarò ad esempio che: «Comunismo e Regno di Dio sulla terra sono la stessa cosa». 

Dove e chi
La Teologia della Liberazione si diffuse soprattutto in America Latina attraverso la formazione di comunità ecclesiastiche di base che avevano finalità non soltanto confessionali ma anche di emancipazione politica, sociale, economica e agivano concretamente sul territorio. La maggior parte di coloro che vi presero parte, appartenevano all’ordine dei Gesuiti. Tra i principali esponenti della Teologia della Liberazione, oltre a Gutiérrez, vi furono il teologo Leonardo Boff e l’arcivescovo di San Salvador Oscar Romero, che fu ucciso il 24 marzo del 1980 da un membro di uno “squadrone della morte” paramilitare.

Il Vaticano
La Teologia della Liberazione, quella almeno che faceva riferimento all’analisi marxista della realtà, provocò da subito forti reazioni e numerose condanne da parte dell’autorità ecclesiastica. Papa Paolo VI intervenne nel 1976 con l’esortazione apostolica “Evangelii nuntiandi” sostenendo che:

«molti cristiani, (…) volendo impegnare la Chiesa nello sforzo di liberazione, hanno spesso la tentazione di ridurre la sua missione alle dimensioni di un progetto semplicemente temporale; i suoi compiti a un disegno antropologico; la salvezza, di cui essa è messaggera e sacramento, a un benessere materiale; la sua attività, trascurando ogni preoccupazione spirituale e religiosa, a iniziative di ordine politico o sociale. Ma se così fosse, la Chiesa perderebbe la sua significazione fondamentale. Il suo messaggio di liberazione non avrebbe più alcuna originalità e finirebbe facilmente per essere accaparrato e manipolato da sistemi ideologici e da partiti politici».

La condanna più severa arrivò nel 1979 durante uno dei primi viaggi apostolici di Giovanni Paolo II in Messico:

«Esistono oggi da molte parti – il fenomeno non è nuovo – “riletture” del Vangelo, che sono risultato di speculazioni teoriche ben più che di autentica meditazione della parola di Dio e di un vero impegno evangelico. Esse causano confusione, se si allontanano dai criteri centrali della fede della Chiesa e si cade nella temerarietà di comunicarle, come catechesi, alle comunità cristiane.

(…) si pretende di mostrare Gesù come impegnato politicamente, come uno che combatte contro la dominazione romana e contro i potenti, anzi implicato in una lotta di classe. Questa concezione di Cristo come politico, rivoluzionario, come il sovversivo di Nazaret, non si compagina con la catechesi della Chiesa. Confondendo l’insidioso pretesto degli accusatori di Gesù con l’atteggiamento – ben diverso – dello stesso Gesù, si adduce come causa della sua morte la soluzione di un conflitto politico e si passa sotto silenzio la sua volontà di consegnarsi e perfino la coscienza della sua missione redentrice.

(…) In opposizione a tali “riletture” e alle ipotesi, brillanti forse, ma fragili e inconsistenti, che ne derivano, “l’evangelizzazione nel presente e nel futuro dell’America Latina” non può cessare di affermare la fede della Chiesa: Gesù Cristo, Verbo e Figlio di Dio, si fece uomo per avvicinarsi all’uomo e offrirgli, con la forza del suo mistero, la salvezza, grande dono di Dio».

Per esaminare la Teologia della Liberazione dal punto di vista dell’ortodossia, Giovanni Paolo II invitò ad occuparsene Joseph Ratzinger, a quel tempo Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Vennero scritte due Istruzioni: la “Libertatis Nuntius” (del 1984) e la “Libertatis Conscientia” (del 1986). In entrambe si condannava la Teologia della Liberazione che faceva riferimento all’analisi marxista della società e se ne stabiliva l’incompatibilità con il messaggio evangelico. Giovanni Paolo II intervenne anche allontanando dai vertici della gerarchia della chiesa gli interpreti di questa corrente. Il caso più clamoroso fu forse quello di Leonardo Boff, che venne sottoposto a un processo ecclesiastico che si concluse con la sua uscita, nel 1992, dall’ordine dei Francescani.  

Oggi
Con la caduta del socialismo reale, parte della Teologia della Liberazione dovette ripensare i propri obiettivi, andando alla ricerca di nuovi tipi di “oppressione”. Ne derivarono così altre correnti. Negli Stati Uniti nacque ad esempio la teologia nera della Liberazione. James Cone, suo maggiore esponente, affermava ad esempio che «la Rivelazione divina arriva fino a noi attraverso la situazione culturale degli oppressi» e che «la Rivelazione è ciò che i neri stanno facendo per la loro liberazione». Ma furono tutte correnti con scarso sviluppo: resistette invece la cosiddetta teologia eco-femminista, per la sua saldatura con il movimento femminista e quello ecologista.

Fin dal giorno dell’elezione di Papa Francesco ci si è chiesti che ne sarebbe stato del rapporto della Chiesa con la Teologia della Liberazione. «Con un Papa latinoamericano – ha scritto ieri sull’Osservatore Romano padre Sartorio – la teologia della Liberazione non poteva rimanere a lungo nel cono d’ombra nel quale è stata relegata da alcuni anni, almeno in Europa. Vittima di un doppio pregiudizio: quello che non ha ancora metabolizzato la fase conflittuale della metà degli anni Ottanta, per altro enfatizzata dai media, e ne fa una vittima del Magistero romano; e quello ingessato nel rifiuto di una teologia ritenuta troppo di sinistra e quindi tendenziosa».

In un’intervista a La Stampa del 26 luglio, Leonardo Boff ha spiegato che il nuovo Papa è vicino al  movimento della Liberazione così come si è sviluppato in Argentina, «come teologia del popolo, portata avanti dal gesuita Juan Carlos Scannone, che è stato insegnante di Bergoglio». Quando era ancora arcivescovo di Buenos Aires, Papa Francesco parlò direttamente della Teologia della Liberazione nella prefazione a un libro sul futuro dell’America Latina scritto da Guzmán Carriquiry Lecour e in modo piuttosto sbrigativo: «Dopo il crollo del socialismo reale, queste correnti di pensiero sono sprofondate nello sconcerto. Incapaci sia di una riformulazione radicale che di una nuova reattività, sono sopravvissute per inerzia, anche se non manca ancora oggi chi le voglia anacronisticamente riproporre».

A chiudere la questione, ci sono infine le parole di Pietro Parolin, il nuovo Segretario di stato di papa Francesco, sul quotidiano venezuelano Ultimas Noticias: «Sulla Teologia della Liberazione, e lo dico con tutto il cuore perché c’è stata molta sofferenza, le cose si sono chiarite. Questi anni, dolorosamente, appassionatamente, sono serviti a chiarire le cose. La Chiesa, è vero, ha una opzione preferenziale per i poveri, è una scelta che la Chiesa ha fatto a livello universale. Ma ha anche chiarito sempre che (quella dei poveri) non è una opzione escludente e nemmeno esclusiva».