I guai di Obama sulla Siria
Non sarà facile convincere il Congresso, ha dato una vittoria al regime di Assad, e le critiche che riceve sono molte
Oggi la Commissione per le relazioni estere del Senato statunitense si riunirà per una serie di audizioni sull’intervento militare in Siria, sul quale il presidente Barack Obama ha chiesto al Congresso di esprimersi con un voto. Davanti alla Commissione compariranno il Segretario di stato John Kerry, il ministro della Difesa Chuck Hagel e il generale Martin Dempsey, il capo dello Stato maggiore congiunto. Dovranno spiegare ai senatori perché ritengono necessario un attacco contro la Siria e mostrare le prove che dimostrano la diretta responsabilità del regime del presidente siriano, Bashar al Assad, nel presunto attacco con armi chimiche del 21 agosto scorso a est di Damasco che gli Stati Uniti stimano abbia causato la morte di oltre 1.400 persone, tra cui centinaia di bambini.
L’approvazione di una mozione per l’intervento militare da parte del Congresso non è scontata, e potrebbe imporre a Obama diversi compromessi sulle regole di ingaggio. Molti parlamentari sono scettici sulla necessità di un intervento, non vogliono coinvolgere gli Stati Uniti in una nuova guerra e chiedono un piano più chiaro di intervento. Il governo per ora ha presentato una mozione generica che dà sostanzialmente piena libertà di azione a Obama, ma difficilmente la proposta potrà essere accettata così com’è dal Congresso, che nei prossimi giorni lavorerà per rendere il testo più preciso e dettagliato, stabilendo i limiti dell’azione in Siria.
È naturalmente ancora presto per capire come i parlamentari voteranno sulla richiesta di autorizzazione per un’azione militare in Siria, tuttavia sulla base delle dichiarazioni circolate fino a ora, Ed O’Keefe del Washington Post ha messo insieme un elenco dei cinque modi in cui il Congresso si sta dividendo sulla questione: ci sono i sostenitori di un intervento immediato, senza attendere un voto parlamentare; quelli che chiedono un’azione militare su ampia scala e non solo un bombardamento una tantum; il gruppo molto ampio dei senatori che vogliono un dibattito aperto ed esteso prima di decidere; i parlamentari molto scettici su un intervento, e sono sia repubblicani sia democratici e – infine – il gruppo contro un intervento militare che comprende diversi conservatori dei tea party e i liberal più convinti.
Le numerose divisioni all’interno del Congresso rischiano di complicare il passaggio parlamentare richiesto da Obama, e di portare ulteriori ritardi nell’avvio delle operazioni militari. Obama ha davanti a sé una settimana circa: il 9 settembre il Congresso terminerà la propria pausa estiva e nei giorni seguenti discuterà e voterà la mozione.
Durante una riunione in teleconferenza, Kerry ha spiegato ai democratici della Camera che si trovano davanti a un “momento Monaco”, facendo riferimento all’accordo di Monaco del 1938 in cui Regno Unito e Francia consentirono alla Germania nazista l’annessione di ampi territori della Cecoslovacchia pensando di contenerne le ambizioni ed evitare i rischi successivi.
Lunedì 2 settembre Obama si è visto alla Casa Bianca con il senatore repubblicano John McCain, tra i principali sostenitori della necessità di un intervento militare in Siria. I due si conoscono da molto tempo e nel 2008 si sfidarono alle elezioni presidenziali. Al termine dell’incontro, McCain – impegnato da molto tempo in appoggio alla rivolta in Siria – ha detto di essere al lavoro per trovare una risoluzione che possa andare bene alla maggioranza del Congresso e ha spiegato che “una sua bocciatura sarebbe catastrofica e metterebbe a repentaglio la credibilità degli Stati Uniti e del loro presidente”. McCain ha poi aggiunto che “nessuno di noi vuole questo” e che però Obama dovrebbe considerare un piano di azione più chiaro ed esteso, perché un unico bombardamento non sarebbe sufficiente per mettere in difficoltà militarmente il regime di Assad.
McCain potrebbe rivelarsi importante per raccogliere un gruppo di parlamentari repubblicani disposti a votare a favore dell’attacco, senza avanzare particolari richieste. L’esito della votazione a oggi continua comunque a essere molto incerto e diversi osservatori sono scettici sulla scelta di Obama, che di fatto sta dando altro tempo al regime di Assad per riorganizzarsi e per condurre nuovi attacchi. Secondo un editoriale del New York Times pubblicato martedì, Obama “ha preso la giusta decisione” chiedendo al Congresso di esprimersi sulla Siria, perché è necessario che ci sia un “confronto pubblico forte e sincero sull’uso della forza militare”. Ma l’articolo critica anche Obama per “aver creato una situazione politica in cui la sua credibilità può essere messa in discussione” e per essersi legato le mani con l’annuncio sulla “linea rossa” delle armi chimiche che la Siria non avrebbe dovuto usare, invece di progettare con i paesi alleati un articolato piano di severi interventi pacifici e sanzioni: «È preoccupante che non lo abbia fatto».
Per quanto riguarda le prove sull’utilizzo delle armi chimiche, Obama lunedì ha ricevuto diverse conferme dal governo francese, che ha pubblicato un proprio rapporto d’intelligence sull’attacco a est di Damasco del 21 agosto. Nel documento si dice che la responsabilità dell’attacco è del regime siriano e sono elencati i sistemi usati per la gestione, la conservazione e l’utilizzo delle armi chimiche da parte dell’esercito. Il rapporto – che calcola in “almeno 281” i morti dell’attacco del 21 agosto – ricorda che “Bashar al Assad e alcuni altri membri del suo clan sono gli unici titolati a dare l’ordine per l’utilizzo delle armi chimiche”. Come quello americano, il governo francese sta lavorando per convincere un’opinione pubblica poco interessata a un intervento militare in Siria. Secondo i sondaggi più recenti, il 64 per cento dei francesi è contrario a un intervento militare.
Mentre Stati Uniti e Francia hanno diffuso informazioni e rapporti sul presunto uso di armi chimiche in Siria, le Nazioni Unite sono ancora molto caute sul tema. La scorsa settimana gli ispettori ONU hanno raccolto prove e campioni dall’area dell’attacco vicino a Damasco, ma per avere gli esiti dei test saranno necessarie diverse settimane. Gli ispettori hanno comunque solo il compito di verificare se siano state usate o meno le armi chimiche, mentre non devono stabilire chi le abbia usate. Secondo l’ONU l’emergenza umanitaria in Siria riguarda ormai due milioni di rifugiati: oltre 700mila persone hanno lasciato il paese e si trovano in Libano. Si stima che dall’inizio della guerra civile nel marzo del 2011 siano morte oltre 100mila persone.
Il presidente siriano, Bashar al Assad, continua intanto a respingere ogni accusa sull’utilizzo delle armi chimiche. Lunedì è stato intervistato da un giornalista del giornale francese Le Figaro, a cui ha spiegato che per il suo regime sarebbe stato “tatticamente illogico” usare le armi chimiche contro i ribelli, considerato che avrebbe sicuramente portato a una reazione internazionale. Assad ha detto che gli Stati Uniti e la Francia devono mostrare elementi che provino le loro accuse. Ha poi ricordato che un intervento militare dall’esterno in Siria causerebbe una guerra in Vicino Oriente e porterebbe a nuovi estremismi.