Cameron si è incartato sulla Siria
Lo scarso consenso politico lo ha costretto ad accettare tempi più lunghi della discussione parlamentare sull'intervento, che quindi potrebbe essere meno imminente: intanto ha parlato Obama
Dopo avere sostenuto per giorni la necessità di intervenire rapidamente in Siria e se necessario senza il sostegno delle Nazioni Unite, nel tardo pomeriggio di mercoledì 28 agosto il primo ministro britannico, David Cameron, è stato costretto a cambiare sensibilmente la propria linea in vista della discussione parlamentare sulla crisi siriana in programma per giovedì. Il suo passo indietro, definito “umiliante” da diversi osservatori e sottolineato dalle prime pagine dei quotidiani di oggi, lo costringe ad aspettare un parere del parlamento britannico non prima della settimana prossima, e potrebbe rallentare il piano di intervento militare in Siria degli Stati Uniti, che continuano a dirsi convinti che il regime del presidente siriano Bashar al Assad abbia utilizzato armi chimiche nell’attacco della scorsa settimana a est di Damasco, dove sono morte centinaia di persone tra cui molti bambini. In una intervista televisiva, mercoledì lo stesso presidente statunitense Barack Obama ha detto di essere “sicuro che dietro gli attacchi chimici ci sia la Siria”, ma di stare ancora valutando la reazione più appropriata.
Mercoledì mattina Cameron aveva annunciato che il Regno Unito avrebbe presentato una bozza di risoluzione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per condannare “l’attacco con armi chimiche di Assad” e per chiedere l’autorizzazione per attuare “soluzioni per tutelare i civili”. La proposta avrebbe trovato probabilmente concordi altri due dei cinque membri permanenti del Consiglio, gli Stati Uniti e la Francia, ma la Russia si è rifiutata di accogliere la proposta presentata dal Regno Unito ricordando che il lavoro degli ispettori ONU in Siria per verificare che tipo di armi siano state utilizzate vicino a Damasco non è ancora finito. La Cina, che come la Russia è più vicina al regime di Assad, ha per ora mantenuto una posizione più defilata insistendo però che la Siria debba risolvere in autonomia e se possibile politicamente i propri problemi.
Dopo il fallimento della bozza al Consiglio di Sicurezza, Cameron ha dovuto affrontare diversi altri problemi interni. Alcuni suoi parlamentari hanno annunciato che non avrebbero votato a favore di un intervento militare in Siria, mentre l’opposizione laburista ha chiesto un maggiore coinvolgimento del Parlamento prima di assumere decisioni di qualsiasi tipo sulla crisi siriana.
Leader di maggioranza e opposizione si sono confrontati a lungo e hanno infine concordato una soluzione intermedia e meno netta rispetto a quella prospettata inizialmente da Cameron: prima di qualsiasi risposta, anche di tipo militare, il Consiglio di Sicurezza dovrà attendere i risultati delle indagini che gli ispettori ONU stanno conducendo da inizio settimana a est di Damasco. Sulla base di questa mediazione, nella giornata di giovedì il governo Cameron presenterà in Parlamento una mozione dove si dice che “Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite deve avere la possibilità di prendere in considerazione quanto prima le informazioni degli ispettori e […] ogni sforzo dovrà essere fatto per ottenere una risoluzione del Consiglio a sostegno di un’azione militare prima che sia attuata una simile azione”.
La mozione riporta al centro le Nazioni Unite, dopo che per giorni diversi esponenti del governo Cameron non avevano escluso la possibilità di un rapido intervento militare contro il regime di Assad anche in assenza di una risoluzione ONU. Giovedì il Parlamento discuterà quindi sulla linea da seguire, ma non darà una esplicita autorizzazione al governo Cameron per un intervento militare. Prima di un eventuale attacco sarà proposto al Parlamento un secondo voto per ottenere le autorizzazioni necessarie.
Prima del cambiamento di programmi di Cameron, il ministro degli Esteri William Hague aveva detto che la sicurezza nazionale del Regno Unito sarebbe stata in pericolo, in assenza di un intervento contro la Siria e il suo utilizzo di armi chimiche. Aveva anche detto che non si poteva consentire alla “paralisi diplomatica di fare da scudo agli autori di simili crimini”. In seguito alle posizioni assunte da alcuni membri della maggioranza e dai laburisti, e ai sondaggi sull’opinione pubblica britannica poco favorevole a un intervento, Hague ha cambiato sensibilmente tono, ricordando che la mozione in discussione in Parlamento “riflette il riconoscimento da parte del primo ministro delle profonde preoccupazioni in questo paese su ciò che avvenne in Iraq”.
Il cambiamento di approccio al problema da parte di Cameron potrebbe dilatare i tempi di un intervento militare esterno in Siria, dato sempre più probabile nei giorni scorsi anche in seguito alle dichiarazioni molto nette dei principali esponenti dell’amministrazione Obama, come il Segretario di Stato John Kerry e il vicepresidente Joe Biden. Nel corso di una intervista televisiva sulla rete PBS, Obama ha chiarito di non avere ancora preso una decisione definitiva, ammettendo comunque che “un colpo di avvertimento” potrebbe avere conseguenze positive per la guerra civile siriana. Secondo Obama, un attacco limitato potrebbe far capire ad Assad che non sia conveniente usare in nuove occasioni le armi chimiche.
Nel corso dell’intervista, Obama ha poi ricordato che le conseguenze di quanto è accaduto in Siria devono essere valutate dalla comunità internazionale e che per questo motivo gli Stati Uniti si stanno confrontando da giorni con i loro principali alleati: “c’è la possibilità che le armi chimiche possano essere usate contro di noi, e vogliamo essere sicuri che ciò non possa accadere”.
Lunedì 26 agosto, nel corso di una conferenza stampa, John Kerry aveva annunciato che gli Stati Uniti avrebbero reso pubbliche alcune informazioni per provare la responsabilità di Assad nel presunto bombardamento con armi chimiche della scorsa settimana. I dati promessi non sono stati ancora resi noti e questo giustifica in parte la cautela di Obama nella sua intervista televisiva. Il presidente deve inoltre convincere l’opinione pubblica, per ora molto fredda sulla possibilità di un intervento, e assicurarsi di avere il sostegno del Congresso in vista di un possibile attacco.
Il presidente della Camera, il repubblicano John Boehner, ha inviato a Obama una lettera aperta chiedendogli di spiegare chiaramente che cosa si vuole ottenere tramite un attacco militare. Boehner chiede anche sulla base di quali elementi si può dire che l’intervento non porterà a un’escalation del conflitto. Entro la fine di giovedì, l’amministrazione Obama fornirà ai membri del Congresso un dossier contenente le informazioni raccolte dagli Stati Uniti sul presunto attacco con armi chimiche in Siria.
Rispetto a quanto previsto inizialmente per un eventuale attacco, i tempi si stanno dilatando, complice anche l’imprevista durata delle indagini degli ispettori ONU in Siria. Mercoledì 28 agosto il Segretario delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha spiegato che saranno necessari almeno altri quattro giorni prima di avere i risultati delle indagini. Gli ispettori hanno raccolto prove e testimonianze dalle zone bombardate a est di Damasco anche mercoledì e l’inviato speciale dell’ONU in Siria, Lakhdar Brahimi, ha detto in una conferenza stampa a Ginevra che appare ormai chiaro che qualche tipo di sostanza chimica “che ha ucciso molte persone” sia stata usata nell’area.
Nonostante le ipotesi di un intervento militare esterno, per ora gli inviati di agenzie di stampa e altri media da Damasco riferiscono che la situazione in città è molto calma e ordinaria, meno concitata rispetto ad alcune settimane fa. Ci sono notizie, difficili da confermare, di spostamenti di armi e soldati da alcune basi e caserme da parte del regime, forse in vista di possibili bombardamenti su alcuni obiettivi. Assad sta cercando di dare l’immagine di un leader calmo e al tempo stesso determinato, che prosegue nella sua azione di governo senza particolari nervosismi. Il regime ha respinto nei giorni scorsi qualsiasi accusa legata all’uso di armi chimiche.
Il timore di un intervento militare esterno e di una possibile reazione del regime contro la popolazione sta comunque spingendo migliaia di persone a lasciare la Siria. In meno di 24 ore oltre 6 mila siriani hanno passato il confine con il Libano, almeno dieci volte tanto rispetto alle medie giornaliere delle ultime settimane. Si stima che la guerra civile in Siria abbia portato a quasi 2 milioni di rifugiati e alla morte di almeno 100mila persone.
Foto: un gruppo di manifestanti a Londra contrari all’intervento militare in Siria (Oli Scarff / Getty Images News)