Uno pensa male
L'abolizione dell'IMU è una buona cosa, ma la Service Tax fa temere che finiamo per pagare più tasse di prima, dice il Corriere della Sera
Il fondo in prima pagina del Corriere della Sera di giovedì, firmato dai due giornalisti economici Massimo Fracaro e Nicola Saldutti, è dedicato agli annunci del Governo della sera precedente, su tasse vecchie e nuove. Con robusti e argomentati timori.
Quando un governo, ogni governo, mette mano alle tasse non c’è mai da stare tranquilli. Le promesse di tagli, con i vincoli di bilancio nei quali l’Italia è costretta a destreggiarsi, appaiono complicate da mantenere. Eppure la decisione di abolire l’Imu sull’abitazione principale, sospesa a giugno, appare come un segno di tregua tra Fisco e contribuenti.
Uno scatto dopo tanti mesi di incertezza del quale va dato atto al governo e alle forze politiche. Il piano casa per i mutui agevolati, la deducibilità per le imprese, la riduzione del prelievo sugli affitti concordati e i nuovi fondi per la cassa integrazione vanno tutti nella direzione di una maggiore attenzione alla crescita. E alle famiglie.
Ma per capire se il Fisco ha davvero cambiato atteggiamento bisognerà vedere quale sarà l’evoluzione della nuova imposta comunale, la cosiddetta service tax. Saranno i sindaci, dal primo gennaio 2014, a stabilirne entità e modalità di applicazione. Un passo importante nella direzione del federalismo fiscale che nasconde un dubbio: finora gli amministratori locali non si sono certo distinti per senso di responsabilità. Anzi. In dieci anni le addizionali sono cresciute del 573%. E basta guardarsi alle spalle per scoprire che il Fisco ci ha, purtroppo, abituati a costosi stratagemmi verbali. Dietro ogni restyling , dietro ogni nuovo acronimo coniato dall’inarrestabile fantasia dell’Erario, si è nascosto un aggravio. È accaduto nel ’97 con l’Irap, l’imposta regionale sulle attività produttive. Nata per semplificare – e accorpare una decina di altri tributi (dai contributi sanitari all’Ilor, all’Iciap) – si è via via trasformata in una pesante zavorra per le imprese con più dipendenti. E più produttive.
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