Che succede con la Siria
Da tre giorni un attacco comincia a diventare probabile e ci sono dichiarazioni e iniziative ufficiali: la Russia è contraria, la Cina attende l'esito delle ispezioni ONU
Lunedì 26 agosto, gli ispettori delle Nazioni Unite in Siria hanno iniziato la loro visita a Ghouta, la zona a est di Damasco dove si sospetta siano state utilizzate armi chimiche nel corso di un attacco effettuato mercoledì 21 agosto in cui sono morte centinaia di persone. Il permesso per visitare l’area da parte del regime di Bashar al Assad è stato dato con molti giorni di ritardo, tanto da fare sospettare che tempi così lunghi abbiano permesso di nascondere le prove dei presunti bombardamenti con armi chimiche.
L’area di Ghouta è contesa tra i ribelli e le forze di Assad, che hanno consentito una tregua per rendere possibili le ispezioni. I rappresentanti dell’ONU hanno il compito di visitare sia le zone governate dal regime, sia i territori controllati dai ribelli, che da mesi cercano di avvicinarsi a Damasco. La visita è stata resa possibile dopo molti giorni di negoziati e grazie all’intervento diretto di Angela Kane, capo della sezione delle Nazioni Unite che si occupa del disarmo.
Nella mattina di lunedì 26 agosto, uno o più cecchini hanno sparato contro uno dei veicoli del convoglio delle Nazioni Unite che trasportano gli ispettori. Non ci sono stati feriti e l’automezzo è stato sostituito per consentire agli ispettori di proseguire la loro visita. Non è ancora chiaro chi abbia sparato, ma le Nazioni Unite hanno comunque rinnovato l’invito a collaborare sia all’esercito siriano sia alle forze di opposizione.
I 20 ispettori ONU si trovano in Siria dal 18 agosto scorso, ma fino a ora non hanno avuto molte possibilità per visitare le aree di guerra in cui si sarebbero verificati altri attacchi con armi chimiche. Il loro compito è di stabilire se siano state utilizzate o meno armi vietate dai trattati internazionali, come il gas nervino, attraverso l’analisi di prove ritrovate sul campo e di esami condotti sulla popolazione. Gli ispettori non hanno comunque il compito di stabilire chi abbia usato le armi chimiche, ma solo se queste siano state effettivamente utilizzate.
Secondo buona parte dei governi occidentali, il permesso per visitare l’area di Ghouta è arrivato molto in ritardo, e questo suggerirebbe che il regime di Assad stia cercando di nascondere la verità. Tra le posizioni più nette, dopo giorni di criticate affermazioni generiche, c’è ora quella degli Stati Uniti. Stando alle dichiarazioni di un funzionario della Casa Bianca, molto riprese dalla stampa statunitense, ci sono “pochissimi dubbi” sul fatto che le armi chimiche siano state utilizzate da Assad la scorsa settimana. Il permesso dato agli ispettori dell’ONU è stato definito “troppo tardivo per essere considerato credibile”.
Dopo avere chiesto per giorni l’immediata possibilità per gli ispettori ONU di visitare la zona di Ghouta, sabato 24 agosto il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, si è incontrato con i principali responsabili della sicurezza nazionale per discutere un’opzione militare contro la Siria.
Il New York Times riferisce che da giorni circola una lista di possibili obiettivi in territorio siriano, un elenco preparato dal Pentagono e in cui sono compresi diversi siti dove si pensa siano stoccate le armi chimiche della Siria, che fu uno dei pochi paesi a non aderire alla convenzione internazionale del 1997 che ne bandì l’utilizzo, e si pensa che abbia quindi ancora grandi scorte di iprite (gas mostarda) e sarin (gas nervino). L’elenco è una versione aggiornata della lista preparata già alcuni mesi fa dal Pentagono: oltre ai siti di stoccaggio comprende altri obiettivi come edifici dell’esercito e palazzi governativi. L’attacco, che ufficialmente non è stato ancora deciso, sarebbe realizzato attraverso il lancio di missili Cruise dalle navi da guerra statunitensi nella zona, almeno in una fase iniziale.
Domenica 25 agosto, Obama ha sentito telefonicamente il presidente francese François Hollande, con il quale si è confrontato sulle possibili reazioni della comunità internazionale a quanto accaduto a Ghouta: la Francia era stata nei giorni precedenti la più decisa nel minacciare e chiedere interventi. Il giorno precedente, Obama aveva parlato al telefono con il primo ministro britannico, David Cameron, per avere un quadro chiaro della sue posizioni in vista di una possibile coalizione per l’intervento, che di minima comprenda il Regno Unito e la Francia.
Come gli Stati Uniti, i due paesi fanno parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e potrebbero quindi proporre una risoluzione per l’intervento in Siria, anche se questa sarebbe con ogni probabilità bocciata dagli altri due membri permanenti Russia e Cina, più vicini al regime di Assad e intenzionati a opporsi agli interventi americani. Con le affermazioni di domenica, l’amministrazione Obama ha fatto comunque intendere che quello dell’ONU non è considerato un passaggio obbligato e che potrebbero quindi esserci soluzioni che non prevedano un suo coinvolgimento diretto, per sveltire i tempi e fermare il regime di Assad prima di nuovi attacchi con armi non convenzionali.
I sospetti sull’utilizzo di armi chimiche sono iniziati più di un anno fa, ma il governo siriano ha sempre negato di averne fatto uso, sostenendo semmai che siano stati i ribelli a usare armi chimiche contro esercito e popolazione. Sabato 24 agosto ha annunciato di avere sequestrato armi non convenzionali a un gruppo di ribelli, ma secondo diversi analisti appare alquanto improbabile che siano le opposizioni a usare gas nervino: non avrebbero le strumentazioni adeguate per lanciare i razzi che contengono il gas e nemmeno le capacità tecniche.
Nei giorni scorsi la Russia, alleato storico della Siria, ha accusato i ribelli di usare armi chimiche, ma non ha fornito particolari elementi per provarlo. Il portavoce del ministro degli Esteri russo ha detto che chi spinge per un intervento militare contro il regime sta arrivando a conclusioni affrettate, senza avere la pazienza di attendere le conclusioni cui arriveranno gli ispettori dell’ONU.
Il Segretario di Stato americano, John Kerry, domenica si è sentito telefonicamente con il ministro degli esteri russo, Sergej V. Lavrov, per aggiornarlo sulle posizioni del governo statunitense. Gli ha spiegato che ormai ci sarebbero pochi dubbi sul fatto che Assad abbia utilizzato armi chimiche e che il permesso per gli ispettori delle Nazioni Unite è stato tardivo, quindi inutile: “Se il regime siriano avesse voluto provare al mondo di non avere utilizzato armi chimiche, avrebbe smesso di bombardare la zona e avrebbe garantito accesso immediato agli ispettori cinque giorni fa”.
Nel corso di una conferenza stampa a Mosca, Lavrov ha detto che in Occidente è iniziata una campagna per promuovere un’incursione militare in Siria, anche in assenza di prove concrete sull’utilizzo delle armi chimiche da parte del regime siriano. Ha poi aggiunto che un qualsiasi intervento senza un mandato delle Nazioni Unite sarebbe considerato una grave violazione delle leggi internazionali. Lavrov ha invitato gli Stati Uniti e i suoi principali alleati ad attendere gli esiti delle ricerche degli osservatori dell’ONU vicino a Damasco.
Il governo cinese fino a ora è stato contrario a imporre sanzioni al regime di Assad, ma ha comunque confermato di essere contrario all’utilizzo di armi chimiche e di attendere i risultati delle indagini degli ispettori delle Nazioni Unite. Per la Cina il problema della guerra in Siria deve essere risolto politicamente, evitando un intervento militare esterno.
Dopo giorni senza particolari dichiarazioni, lunedì per la prima volta il governo tedesco ha fatto intendere che in presenza di prove chiare sull’utilizzo di armi chimiche da parte di Assad la Germania sarebbe a favore di un intervento militare contro la Siria. Il portavoce del cancelliere Angela Merkel, in campagna elettorale per un nuovo mandato (si vota il 22 settembre), ha spiegato che l’utilizzo di armi chimiche “deve essere punito”, se effettivamente riscontrato.
Oltre a respingere le accuse, il governo siriano ha annunciato minaccioso che un’azione militare di qualsiasi tipo contro la Siria creerebbe “una palla di fuoco tale da infiammare tutto il Medio Oriente”. Anche il governo iraniano ha parlato di serie conseguenze se fosse organizzato un attacco contro le forze di Assad. Per il governo israeliano, invece, “l’attuale situazione non può continuare”. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha spiegato che “i regimi più pericolosi al mondo non possono avere le armi più pericolose al mondo” e ha aggiunto che il “regime di Assad è diventato a tutti gli effetti un cliente iraniano, e la Siria è diventato un campo di prova per l’Iran”.
Buona parte dei media statunitensi sono concordi sul fatto che ci sarà un attacco contro la Siria guidato dagli Stati Uniti. Già lo scorso anno Obama aveva spiegato che l’utilizzo di armi chimiche avrebbe costituito il superamento di una “linea rossa”, implicando la possibilità di un intervento militare. Obama è stato però criticato per avere atteso a lungo prima di assumere una posizione netta sulla Siria come quella di domenica, considerato che già nei mesi scorsi erano circolate diverse notizie su attacchi condotti in territorio siriano con armi chimiche.
(Il convoglio degli ispettori ONU in partenza da Damasco – AP)