L’inchiesta sul nucleare in Corea del Sud
Alcune centrali sono state chiuse per imbrogli nei controlli di sicurezza, il governo accusa "l'industria mafiosa" e chiede di ridurre i consumi energetici
L’industria nucleare della Corea del Sud – che con 23 reattori produce circa un terzo dell’energia nazionale – ha subito negli ultimi anni chiusure, ritardi e guasti tecnici che ne hanno messo in discussione la sicurezza, ed è in questi giorni al centro di una serie di grossi scandali legati a test di sicurezza fasulli che hanno portato il primo ministro a parlare di «industria mafiosa». Alla base delle accuse c’è la presunta mancata supervisione sulla Korea Hydro & Nuclear Power (KHNP) da parte della società capogruppo Korea Electronic Power Corporation (KEPCO).
Il primo episodio è del 2012. La Corea del Sud era stata costretta a chiudere 2 reattori dopo che si era scoperto che da circa 10 anni in quelle centrali nucleari si utilizzavano più di 10 mila componenti non conformi, che erano cioè stati forniti con garanzie falsificate. Nonostante le parti non fossero componenti del nocciolo e dunque secondo il governo non ci fosse alcun rischio per la sicurezza pubblica, le autorità avevano chiesto che si effettuasse un’ispezione di tutti i reattori a livello nazionale, dei fornitori, delle agenzie e delle organizzazioni incaricate della verifica.
L’inchiesta, condotta dagli investigatori della Nuclear safety and security commission, l’ente statale di controllo dell’energia nucleare, aveva scoperto irregolarità in 4 altri reattori che utilizzavano dei cavi di controllo che non avevano superato i test di sicurezza e che erano stati forniti di certificati falsi di qualità. La Commissione aveva dunque deciso di chiudere due di quei reattori e di ritardare, per gli stessi motivi, la ripresa di un terzo in manutenzione e l’avvio di un quarto. I cavi di controllo sono parti che garantiscono la sicurezza: servono a inviare segnali elettronici al sistema di controllo di un reattore in caso di incidente o di malfunzionamento, refrigeranti compresi.
Diversi ingegneri nucleari e dipendenti di società di certificazione erano stati arrestati e incriminati per quelle mancanze, e a giugno di quest’anno il governo ha deciso di effettuare un’analisi più approfondita su circa 125 mila certificati per componenti utilizzati negli impianti nucleari, sia in servizio che in costruzione. Le nuove indagini hanno portato alla sospensione del funzionamento di sei reattori, tra cui tre di nuova costruzione e sempre dopo la scoperta di certificati falsi. Il 18 luglio dopo alcuni interventi di manutenzione due di questi, sono stati rimessi in funzione, ma attualmente, ne rimangono chiusi sei su 23. Secondo quanto riporta il New York Times, sembra che le componenti sospettate di irregolarità siano installate in 14 delle 23 centrali nucleari della Corea del Sud e che potrebbero dunque essere imminenti altre ulteriori chiusure.
La possibile chiusura di altri reattori sta causando in Corea del Sud grandi preoccupazioni legate all’economia. In un momento di rallentamento della crescita, il governo aveva infatti lanciato una serie di piani per la costruzione a basso costo di centrali nucleari all’estero (aveva ad esempio già concluso un accordo con gli Emirati Arabi per la costruzione di quattro nuove centrali) ma lo scandalo sulla sicurezza rischia di compromettere i nuovi progetti. E il Ministero del Commercio, Industria e Energia ha espresso preoccupazione sulla diminuzione della fornitura di energia. Già nel 2012, dopo la chiusura dei primi reattori, la Corea del Sud fu costretta ad adottare misure di risparmio dei consumi. Anche quest’anno, il governo ha ordinato una campagna di risparmio energetico a livello nazionale che comprende una serie di incentivi per le aziende e le famiglie che riducono i loro consumi e con sanzioni per chi invece non lo farà.