Da dove viene l’allerta sul terrorismo
C'entrano delle comunicazioni intercettate del capo di al Qaida, al Zawahiri: ora gli Stati Uniti hanno invitato tutti gli americani in Yemen a lasciare il paese
Aggiornamento 10.00. Nella notte tra lunedì e martedì un drone statunitense ha ucciso quattro presunti membri di al Qaida. Il governo statunitense ha invitato tutti gli americani in Yemen a lasciare immediatamente il paese.
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La decisione degli Stati Uniti di chiudere le sedi diplomatiche in Nord Africa e Medioriente e diffondere un’allerta per i voli aerei fino alla fine di agosto si deve all’intercettazione di una serie di comunicazioni tra il capo di al Qaida, Ayman al-Zawahiri, e il suo uomo in Yemen, Nasser al-Wuyashi. Nelle conversazioni i due parlano di un attacco da realizzare domenica scorsa. Sia CNN che il New York Times hanno scritto che avevano questa notizia da ieri, attraverso alcuni funzionari della Casa Bianca, e che avevano deciso di non pubblicarla per ragioni di sicurezza, d’accordo con l’amministrazione Obama. CNN aveva spiegato di avere informazioni che non poteva diffondere. La notizia è stata però pubblicata dai quotidiani locali del gruppo McClatchy, “liberando” di fatto tutte le altre testate.
La conversazione tra al-Zawahiri e al-Wuyashi è considerata importante e insolita, anche perché quest’ultimo secondo i funzionari del governo americano è diventato una specie di “general manager” del terrorismo internazionale, grazie alla forza del suo gruppo in Yemen. È “il numero due dell’organizzazione”, scrive il New York Times. Una fonte dell’intelligence ha spiegato al New York Times che “questa comunicazione era importante perché a parlare erano i pezzi grossi, e parlavano di un momento specifico per uno o più attacchi”. Un diplomatico europeo ha detto sempre al Times di aver ricevuto notizia di un ritrovo di militanti di al Qaida sulle colline di Margalla, che sovrastano Islamabad in Pakistan, ma di non potere confermare né questa informazione né il suo collegamento con le decisioni degli Stati Uniti.
L’Interpol nei giorni scorsi aveva fatto sapere che al Qaida è legata alle grandi evasioni di prigionieri avvenute il 23 luglio in Iraq, il 26 luglio in Libia e il 30 luglio in Pakistan, e che molti suoi militanti erano di nuovo in libertà. Diversi parlamentari membri delle commissioni di intelligence del Congresso, che vengono aggiornati sulle operazioni di sicurezza ma spesso non possono discuterne nei dettagli, hanno detto che le autorità americane intercettano spesso comunicazioni e “chiacchiere” su attacchi e attentati e che se l’amministrazione ha ritenuto opportuno chiudere le sedi diplomatiche, la minaccia era considerata molto urgente e concreta.
Il Dipartimento di Stato americano ha deciso di tenere alcune sedi diplomatiche chiuse almeno fino a sabato, tra queste quelle di Yemen, Libia, Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi. Hanno riaperto le ambasciate di Algeri, Baghdad, Kabul e Pakistan. Anche Gran Bretagna e Francia hanno deciso di tenere chiuse le loro ambasciate in Yemen fino alla fine del Ramadan. Lo stesso stanno facendo la Germania in Yemen e la Norvegia in Yemen e Arabia Saudita. L’Italia ha chiuso la sua ambasciata in Yemen fino a domani. Michael Hayden, ex capo della CIA, ha detto che la chiusura delle ambasciate potrebbe fare da deterrente, oltre a mettere al sicuro i dipendenti nel caso di un attacco.
Nasser al-Wuyashi è il personaggio relativamente “nuovo” in questa storia. Sappiamo che scappò dall’Afghanistan all’Iran dopo l’invasione del 2001, ma fu poi estradato in Yemen nel 2003. Nel 2006 fu uno dei molti prigionieri evasi dal carcere di Sana. Il suo nome è collegato a vari attacchi realizzati o tentati: tra quello quello del cosiddetto “underwear bomber”, l’uomo che aveva esplosivo nelle mutande su un volo tra Amsterdam e Detroit il giorno di Natale del 2009. Il suo gruppo è quello che continua a pubblicare la rivista in inglese “Inspire“, fondata e promossa da Anwar al-Awlaki, che è saltata fuori in molte indagini su attentati terroristici in Occidente (come le bombe di Boston).
foto: un checkpoint di soldati dello Yemen sulla strada di Sana’a che porta all’ambasciata statunitense. (MOHAMMED HUWAIS/AFP/Getty Images)