Le proteste in Turchia per la sentenza Ergenekon
Centinaia di persone hanno tentato di superare le barricate fuori dal tribunale, vicino Istanbul, e si sono scontrate con la polizia
Lunedì 5 agosto si è concluso il processo sull’organizzazione Ergenekon, in Turchia, in cui erano imputate 275 persone. Il tribunale ha condannato 17 persone all’ergastolo, tra cui l’ex capo di stato maggiore Ilker Basbug e altri ufficiali militari in pensione. Fuori dall’aula in cui si è tenuto il processo, nel complesso carcerario di Silivri, nella provincia occidentale di Istanbul, ci sono stati diversi scontri tra le forze di sicurezza turche e centinaia di persone che manifestavano contro il governo del partito islamista al potere di Recep Tayyip Erdogan, accusato di avere manipolato la sentenza.
Alcune immagini televisive hanno fatto vedere le forze di polizia alzare delle barricate per difendere il complesso carcerario. Le strade intorno a Silivri erano già state chiuse al mattino, per prevenire che i manifestanti raggiungessero il tribunale: negli scontri sono stati lanciati anche lacrimogeni e usate maschere anti-gas.
È difficile definire Ergenekon e anzi la sua definizione è al centro della controversia: secondo alcuni è un’associazione eversiva di militari, giornalisti, politici e intellettuali ultranazionalisti che avrebbe tentato di rovesciare il governo guidato da Erdogan; secondo altri è un’invenzione dell’attuale governo per eliminare gli oppositori. L’importanza del caso Ergenekon si capisce meglio se si inquadra la questione nella storia recente della Turchia, soprattutto per quel che riguarda i complicati rapporti tra l’esercito e la politica. In Turchia l’esercito è considerato “garante della laicità dello Stato” e tutore dell’eredità di Ataturk, generale che combatté la monarchia, primo presidente della Turchia ed eroe nazionale. Per tre volte – nel 1960, nel 1971 e nel 1980 – l’esercito con un colpo di stato ha tolto il potere a chi era stato regolarmente eletto.