Il passaporto di Alma Shalabayeva
Ora anche la Repubblica Centrafricana dice che era falso
In un’intervista pubblicata sabato 3 agosto dalla Stampa, Alma Shalabayeva ha sostenuto che le autorità italiane abbiano manomesso, poco dopo l’arresto, il suo passaporto della Repubblica Centrafricana: un elemento centrale del complicato caso della sua espulsione, perché la sua falsità era tra gli elementi che ne sono stati all’origine, almeno formalmente. In passato, la Repubblica Centrafricana aveva detto più volte che il passaporto in possesso di Alma Shalabayeva era autentico: ma, come racconta oggi Fabio Tonacci su Repubblica, sembra che le autorità del paese africano abbiano cambiato versione.
Con un dietrofront che spariglia di nuovo le carte, la Repubblica Centrafricana comunica ufficialmente che il passaporto di Alma Shalabayeva è falso. Un colpo di scena che arriva proprio mentre da Almaty la donna accusa la polizia italiana di avere manomesso in qualche modo il documento che lei mostrò agli agenti subito dopo il blitz del 28 maggio, convinta che questo le avrebbe risparmiato l’espulsione. Ma fu considerato falso. Per due mesi il governo di Bangui ha ribadito in tutte le sedi, anche con atti formali inviati alle autorità italiane, l’autenticità di quel passaporto rilasciato nel 2010.
Ancora giovedì scorso il ministro delle Cultura e della comunicazione della Repubblica Centrafricana, Christophe Betty Gazam, era andato fino a Aix-en-Provence per dimostrare che il documento esibito da Mukhtar Ablyazov al momento dell’arresto, anche in questo caso un passaporto emesso da loro, era vero. La stessa cosa aveva fatto appena una settimana fa per la moglie il suo collega della Giustizia Arséne Sende.
Ma ora si scopre che non è così. La questura di Roma, infatti, ha ricevuto una nota del ministero degli Affari Esteri, in cui si specifica che «la perizia eseguita sulla copia del passaporto diplomatico n. 06FB04081, rilasciato da Bangui il 1° aprile 2010, attesta l’illegalità del documento di viaggio». Illegalità che, spiegano i funzionari centrafricani, «si evince dalla firma del ministro, dalla dimensione del timbro e dai caratteri dell’Autorità emittente». Un “tarocco”, insomma. E nemmeno ben fatto, come avevano notato già gli agenti della Polaria di Fiumicino a cui fu sottoposto il 29 maggio per una prima valutazione. Il ministro della Cultura che appena due giorni fa aveva giurato sull’autenticità dei documenti di Ablyazov, ora tace: «Sono impegnato, non posso parlare».
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