Rajoy si difende sul caso Bárcenas
Il primo ministro spagnolo ha parlato in Parlamento delle accuse di finanziamenti illeciti che gli ha rivolto l'ex tesoriere del suo partito
Durante la mattina del primo agosto il primo ministro della Spagna, Mariano Rajoy, ha parlato per la prima volta in Parlamento del caso dei conti del Partito Popolare (PP) spagnolo – di cui lui fa parte – e di cui si sta occupando da diversi mesi la stampa spagnola. Al centro del grande scandalo si trova l’ex tesoriere del PP, Luis Bárcenas, che ha ammesso di fronte a un giudice spagnolo di essere l’autore di una contabilità segreta del PP, che includerebbe un sistema di finanziamenti illegali al partito e una serie di transazioni finanziarie, anch’esse illegali, ad alcuni importanti dirigenti del PP. Tra questi ci sarebbe anche l’attuale primo ministro Rajoy: l’illecito risalirebbe al periodo 1997-1999, quando Rajoy era ministro della Pubblica Amministrazione e dell’Istruzione del governo conservatore di José Maria Aznar.
In parlamento Rajoy ha negato tutte le accuse che sono state rivolte da Bárcenas a lui e al suo partito, spiegando di avere sbagliato a essersi fidato per così tanto tempo dell’ex tesoriere del PP. Rajoy ha confermato che il PP ha pagato ai suoi dirigenti compensi aggiuntivi a quelli previsti dagli incarichi ufficiali nel partito, spiegando che «così si fa dappertutto»: però tutte le transazioni, ha aggiunto il primo ministro, sono state fatte alla luce del sole e sono state dichiarate al fisco. Per questa ragione, riferendosi ai registri della contabilità segreta presentata al giudice da Bárcenas, Rajoy ha detto: «Siamo di fronte a una incredibile e immaginaria serie di falsità, come il tempo e la giustizia dimostreranno».
Rajoy ha concluso il suo intervento come lo aveva iniziato, rivolgendosi al segretario del Partito Socialista Alfredo Pérez Rubalcaba e alla sua minaccia di presentare in parlamento una mozione di sfiducia nei confronti del primo ministro: «Non mi minacci, signor Rubalcaba», ha detto Rajoy, aggiungendo che strumenti costituzionali – come la mozione di sfiducia – non possono essere esercitati per fare pressione politica su un governo.