Confermata la condanna di Berlusconi
La Cassazione ordina soltanto di ricalcolare la durata dell'interdizione dai pubblici uffici, ma la condanna a 4 anni per frode fiscale è definitiva
La Corte di Cassazione ha deciso di confermare la condanna a quattro anni di reclusione per frode fiscale contro Silvio Berlusconi, ex presidente del Consiglio, relativa al cosiddetto processo Mediaset. La Cassazione ha deciso però di annullare la condanna all’interdizione dei pubblici uffici, stabilendo che i termini dovranno essere ricalcolati e che la decisione in materia debba essere presa in un altro processo d’appello davanti ai giudici di Milano. I quattro anni di carcere sono diventati uno in base all’applicazione dell’indulto.
La legge n.251 del 5 dicembre 2005 – la “legge ex Cirielli”, chiamata anche “legge salva-Previti” – stabilisce che nel caso in cui la persona condannata abbia compiuto 70 anni al momento dell’inizio dell’esecuzione della pena – Berlusconi ha 76 anni – questa possa essere scontata nella propria abitazione o in un altro luogo pubblico di cura, assistenza e accoglienza (salvo poche eccezioni in cui Berlusconi non ricade). Oltre alla detenzione domiciliare i condannati a una pena inferiore ai tre anni possono chiedere l’affidamento ai servizi sociali.
Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha diffuso questo comunicato:
La strada maestra da seguire è sempre stata quella della fiducia e del rispetto verso la magistratura, che è chiamata a indagare e giudicare in piena autonomia e indipendenza alla luce di principi costituzionali e secondo le procedure di legge. In questa occasione attorno al processo in Cassazione per il caso Mediaset e all’attesa della sentenza, il clima è stato più rispettoso e disteso che in occasione di altri procedimenti in cui era coinvolto l’on. Berlusconi. E penso che ciò sia stato positivo per tutti. Ritengo ed auspico che possano ora aprirsi condizioni più favorevoli per l’esame, in Parlamento, di quei problemi relativi all’amministrazione della giustizia, già efficacemente prospettati nella relazione del gruppo di lavoro da me istituito il 30 marzo scorso. Per uscire dalla crisi in cui si trova e per darsi una nuova prospettiva di sviluppo, il paese ha bisogno di ritrovare serenità e coesione su temi istituzionali di cruciale importanza che lo hanno visto per troppi anni aspramente diviso e impotente a riformarsi.
Il caso Mediaset riguarda la compravendita dei diritti televisivi e cinematografici con società statunitensi per 470 milioni di euro delle reti di Silvio Berlusconi e risale al 2003. Con il verdetto della Cassazione è stato accertato che gli acquisti fatti da Fininvest – società di proprietà della famiglia dell’ex PresdelCons – sono stati fatti attraverso due società off-shore, le quali hanno rivenduto i diritti con una forte maggiorazione di prezzo a Mediaset allo scopo di aggirare il fisco italiano. La differenza tra il valore reale e quello finale ha consentito di mettere da parte “fondi neri” per 280 milioni di euro.
La fase preliminare del processo era iniziata nel 2005. Il 26 ottobre del 2012 Silvio Berlusconi è stato condannato in primo grado a 4 anni di carcere e a 5 anni di interdizione dai pubblici uffici. La Corte d’Appello di Milano, l’8 maggio del 2013, ha confermato la condanna stabilendo che Berlusconi «è stato l’ideatore fin dei primordi del gruppo di un’attività delittuosa tesa a una scientifica e sistematica evasione di portata eccezionale». La condanna per frode fiscale faceva riferimento a circa 7 milioni di euro tra il 2002 e il 2003; le precedenti, che ammontavano a 280 milioni di euro, sono state prescritte. Il 9 luglio del 2012 gli avvocati di Berlusconi avevano presentato ricorso. Il processo è dunque arrivato alla Cassazione, terzo e ultimo grado di giudizio nell’ordinamento italiano: la sentenza, basandosi sui tempi medi dei processi, era attesa per settembre-ottobre. La Cassazione aveva però fissato l’udienza il 30 luglio, molto prima del previsto, cosa che ha provocato molta agitazione nel PdL e la sospensione, per un giorno, dell’attività parlamentare.
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