Oggi si vota nello Zimbabwe
Robert Mugabe cerca un nuovo mandato, dopo oltre trent'anni al potere, e sfida il suo principale oppositore, il primo ministro Morgan Tsvangirai: si temono brogli e violenze
Mercoledì 31 luglio nello stato africano dello Zimbabwe si vota per eleggere il nuovo presidente e per il rinnovo del Parlamento. L’attuale presidente, Robert Mugabe, confida di essere rieletto e di proseguire il proprio controllo sul paese, che dura ormai da 33 anni con un regime che molti osservatori definiscono dittatoriale. Le ultime presidenziali nello Zimbabwe risalgono al 2008, anno in cui furono segnalati numerosi brogli e violenze, tali da spingere il principale oppositore di Mugabe, Morgan Tsvangirai, a rinunciare a partecipare al secondo turno. Tsvangirai è considerato il principale avversario di Mugabe alle attuali elezioni, indette in seguito alla riforma della Costituzione approvata con un referendum nel marzo del 2013.
Candidati
Robert Gabriel Mugabe ha 89 anni e la sua storia politica è strettamente legata a quella dello Zimbabwe postcoloniale. È stato tra i principali sostenitori dell’indipendenza del paese dal controllo britannico e nel 1980 vinse le elezioni parlamentari con il suo partito, lo ZANU (Zimbabwe African People’s Union). Dopo avere ottenuto un secondo mandato come primo ministro, alla fine del 1987 è diventato presidente. Da oltre trent’anni Mugabe controlla lo Zimbabwe con metodi ritenuti antidemocratici: è accusato di avere instaurato un regime dittatoriale e di avere impedito agli altri partiti di confrontarsi alla pari con il suo, soprattutto durante le elezioni. Mugabe è “persona non grata” nell’Unione Europea e negli Stati Uniti, cosa che formalmente gli impedisce di entrare nei loro confini, anche se di recente è stata fatta un’eccezione per farlo partecipare alla cerimonia di beatificazione di Papa Giovanni Paolo II in Vaticano. In una delle pochissime interviste concesse di recente, Mugabe ha detto che i suoi 89 anni “non contano nulla” e ha confermato di avere “idee, idee che devono essere accettate dal mio popolo”.
Morgan Tsvangirai ha 61 anni ed è primo ministro dello Zimbabwe dal 2009. È inoltre il leader del partito Movimento per il Cambiamento Democratico (MDC) ed è da tempo uno dei principali oppositori di Mugabe. Ha già sfidato due volte alle elezioni l’attuale presidente. Una prima volta nel 2002, quando ottenne il 42 per cento dei voti contro il 56,2 per cento di Mugabe, in una elezione che molti osservatori internazionali definirono falsata da una grande quantità di brogli tesa a favorire la rielezione dello stesso Mugabe. Tsvangirai sfidò una seconda volta Mugabe nel 2008, contestando l’esito del primo turno in cui gli furono attribuiti il 47,8 per cento dei voti contro il 43,2 per cento di Mugabe. Il candidato disse che c’erano stati brogli, intimidazioni e violenze nei confronti degli elettori e che in realtà aveva ottenuto oltre il 50 per cento più uno dei voti necessari per diventare presidente al primo turno. Rinunciò al secondo turno e perse le elezioni, dopo una campagna elettorale difficilissima con arresti e violenze che portarono a oltre 200 morti nel paese.
Oltre a Mugabe e Tsvangirai, considerati i due principali sfidanti, ci sono altri due candidati che potrebbero almeno in parte condizionare l’esito dell’elezione. Welshman Ncube ha 52 anni ed è a capo di una parte del MDC che si è separata da quella di Tsvangirai, a cui potrebbe quindi sottrarre voti. Dumiso Dabengwa ha 73 anni ed è il leader dell’Unione del popolo africano dello Zimbabwe (ZAPU), partecipò alla guerra civile in Rhodesia (il vecchio nome dello Zimbabwe) ed era conosciuto come il “russo nero”, per la sua formazione ricevuta a Mosca, in Russia. Secondo gli osservatori, anche Dabengwa potrebbe sottrarre voti a Tsvangirai, soprattutto nei territori occidentali del paese. Un quinto candidato, Kisinoti Munodei, del Partito per lo sviluppo dello Zimbabwe, ha ritirato la propria candidatura.
Campagna elettorale
Durante i suoi comizi Mugabe ha promesso di proseguire il suo piano, avviato nei primi anni del 2000, per sequestrare i terreni agricoli ai bianchi zimbabwesi, quasi tutti di stirpe anglosassone e in progressiva diminuzione proprio a causa delle repressioni governative nei loro confronti. Secondo Mugabe i nuovi sequestri potrebbero portare alla creazione di almeno 2,2 milioni di nuovi posti di lavoro, ma il piano è considerato poco credibile anche sulla base degli scarsi risultati economici finora ottenuti (anche se nell’ultimo periodo c’è stata una lieve ripresa). Tsvangirai ha invece promesso politiche per incentivare gli investimenti stranieri al fine di rilanciare l’economia, creare nuovi posti di lavoro e rimettere in sesto alcuni servizi, come la scuola e la sanità.
Voto
Le persone aventi diritto al voto sono 6,4 milioni, che potranno recarsi ai seggi dalle 7 del mattino fino alle 7 di sera. Ogni elettore dovrà votare per il rinnovo dei 210 seggi del Parlamento e di 1.200 amministrazioni locali.
Brogli
Ci sono state molte segnalazioni di errori e discrepanze nella compilazione dei registri elettorali, cosa che fa temere la possibilità di nuovi brogli anche a queste elezioni. È stata inoltre rifiutata la presenza degli osservatori internazionali offerti dall’Unione Europea. Sul voto vigileranno comunque gli osservatori dell’Unione Africana e il personale di alcune organizzazioni locali, ma non è chiaro se potranno avere libero accesso ai seggi per controllare le operazioni di voto. Lo Zimbabwe ha anche negato l’ingresso nel paese a buona parte dei giornalisti stranieri.
Violenze
A differenza del 2008, durante la campagna elettorale non si sono registrate particolari violenze o scontri tra i sostenitori dei diversi partiti. La situazione sembra essere più calma e non si hanno notizie di intimidazioni da parte delle forze di sicurezza, leali a Mugabe. I sostenitori di Tsvangirai hanno potuto manifestare e organizzare iniziative contro l’attuale presidente senza ricevere particolari limitazioni. Il timore è che le cose possano cambiare nelle ore del voto, soprattutto ai seggi.
Elezioni “poco libere”
È opinione diffusa tra analisti e osservatori che quelle di mercoledì 31 luglio non potranno essere considerate elezioni libere ed eque a tutti gli effetti. Mugabe ha confermato che nel caso in cui dovesse perdere non esiterebbe a dimettersi. Le opposizioni hanno però accusato il suo partito di avere creato le condizioni perché questo non avvenga, modificando i registri elettorali e organizzando brogli ai seggi che renderanno difficile un esito sfavorevole per l’attuale presidente.