L’India cambia le regole sulla vendita di acido
Lo ha deciso la Corte Suprema, nel tentativo di frenare i molti attacchi contro le donne
di Giulia Siviero - @glsiviero
La Corte Suprema dell’India ha stabilito una serie di regole piuttosto severe per regolamentare la vendita di acido al dettaglio, nel tentativo di frenare gli attacchi contro le donne, e ha ordinato di aumentare il valore dei risarcimenti previsti per chi viene aggredito. Le linee guida della Corte dovranno essere recepite e messe in pratica dal governo entro tre mesi, quindi per la metà di ottobre.
La decisione della Corte è arrivata dopo il caso di Laxmi, una giovane donna che ora ha 22 anni e che nel 2005 – quando era ancora minorenne – è stata attaccata con l’acido mentre stava aspettando l’autobus da un uomo che lei si era rifiutata di sposare. Un anno dopo Laxmi ha intentato una causa presso la Corte Suprema, denunciando alcune lacune nella legge indiana che regolamenta la vendita dell’acido e una politica governativa inadeguata nel risarcimento delle vittime e nelle misure per prevenire questo tipo di violenza.
Cosa c’è nelle linee guida della Corte Suprema
La vendita di acido, secondo quanto stabilito dalla Corte, dovrà essere consentita solo ai maggiorenni e dietro la presentazione di un documento d’identità valido. I compratori dovranno anche motivare l’acquisto di questa sostanza, fornire il loro indirizzo di residenza e il numero di telefono. Le vendite dovranno essere autorizzate con una licenza, avranno dei limiti in ciascun negozio e dovranno essere denunciate dai commercianti alla polizia: i negozianti dovranno infatti tenere un registro giornaliero degli acquirenti e della quantità di acido venduto. Se non rispetteranno queste regole saranno puniti con multe fino a 50 mila rupie (640 euro). Inoltre la sostanza che sarà venduta dovrà essere diluita in modo da non avere alcun effetto corrosivo sugli esseri umani.
Nei suggerimenti presentati dai giudici si prevede anche che i risarcimenti per le vittime non siano inferiori a 300 mila rupie (poco più di 3800 euro) e che ai presunti colpevoli venga negata la possibilità di rilascio su cauzione. Si tratterebbe dunque di rendere ancora più severe le norme contenute in una legge approvata in aprile – dopo le grandi proteste nel paese a seguito dello stupro di gruppo a Delhi in cui era morta una studentessa di 23 anni – che modificava varie sezioni del codice penale indiano per aumentare le punizioni contro i reati di stupro, aggressione con l’acido, lo stalking e il voyeurismo. La nuova legge definiva l’attacco con l’acido come un crimine e stabiliva una pena di 10 anni di carcere.
Cosa manca nelle linee guida della Corte
La sentenza della Corte Suprema non sarà retroattiva, e questo significa che le donne che sono state attaccate prima della decisione non riceveranno il nuovo tipo di sostegno economico previsto. Inoltre non è stata inclusa alcuna norma sull’assistenza medica gratuita e sul reinserimento nel mondo del lavoro: 300 mila rupie possono infatti garantire solo in piccola parte la copertura delle spese mediche e degli interventi chirurgici per la guarigione che vengono eseguiti negli ospedali con reparti specializzati delle grandi città e che costringono le famiglie a pagare grandi somme di denaro per viaggi e permanenze. Spesso, poi, le cure mediche vengono interrotte perché i soldi non bastano più.
Tutte queste mancanze sono state segnalate in un documento della National Commission for Women, organizzazione governativa che rappresenta i diritti delle donne e che già in un progetto di legge del 2008 per la prevenzione dei reati commessi con l’acido aveva proposto: assistenza nazionale e gratuita per garantire alle sopravvissute adeguate cure mediche e sostegno psicologico, fornitura di un supporto legale, programmi di riabilitazione e coperture assicurative. Queste raccomandazioni erano state inviate ai ministeri competenti ma finora non sono mai state adottate.
Molte sopravvissute agli attacchi con l’acido guardano dunque all’ordine del tribunale come a una parziale vittoria. Sonali Mukherjee, 28 anni, con ustioni da acido su più del 70 per cento del corpo, ha detto: «Ci devono essere centinaia di migliaia di negozi in tutta l’India che vendono acido. Dubito che qualsiasi agenzia governativa sia in grado di monitorarne la vendita. Inoltre, non c’è bisogno di andare in un negozio per comprare l’acido. Si trova nelle batterie di moto e auto ed è semplice procurarselo. Noi chiediamo un divieto totale dell’uso di acido in ogni sua forma e di questo si dovrebbe occupare non la magistratura, ma il governo che nonostante i migliaia di casi in tutto il paese, non ha voluto riconoscere il problema per molto tempo». Archana Kumari, donna aggredita nel 2008 che ha speso migliaia di rupie in 25 interventi chirurgici, facendo riferimento ai nuovi risarcimenti di cui lei comunque non avrà diritto ha dichiarato: «è come mettere sale sulle ferite».
Alox Dixit, attivista della campagna indiana “Stop Acid Attacks”, ha infine citato l’esempio del Bangladesh che nel 2002 ha emanato due leggi molto severe per quanto riguarda il problema: l’Acid Offences Prevention Act e l’Acid Control Act. L’effetto combinato di questi due provvedimenti permette che le indagini sui casi di aggressione con l’acido debbano essere completate entro 30 giorni e che la sentenza venga pronunciata dal giudice entro 90 giorni. Inoltre sono stati istituiti dei tribunali speciali per trattare esclusivamente questo tipo di violenza.
L’acido
L’acido solforico si trova facilmente in commercio e a costi molto bassi: si usa per le batterie delle auto, per pulire i bagni o gli impianti idraulici e un litro costa circa 30 rupie (40 centesimi). Non richiede un diretto contatto fisico da parte dell’aggressore, è corrosivo, può penetrare fino alle ossa, danneggiare i muscoli e provocare gravi danni funzionali (oltre a costringere le vittime all’isolamento, alla dipendenza e a ostacolare la loro piena partecipazione alla vita sociale). Le conseguenze sono dunque permanenti.
Nel 2012, in India, ci sono stati circa mille attacchi con l’acido, ma i numeri si riferiscono ai casi emersi e denunciati: non ci sono notizie più precise perché non esiste un monitoraggio del fenomeno nonostante questa pratica sia molto diffusa. E non solo in India: anche in Afghanistan, Pakistan e Bangladesh, dove si ha notizia del primo caso documentato di violenza con acido solforico, nel 1967. Dagli episodi di cui si ha notizia, la motivazione sembra essere sempre la stessa: punire una donna perché trasgredisce le norme che la relegano a posizioni subordinate, o perché esercita il suo potere decisionale. L’ultimo caso risale a domenica 21 luglio: una donna di 28 anni è morta in un ospedale dello stato centrale del Madhya Pradesh dopo essere stata attaccata con l’acido da un uomo col quale aveva avuto una relazione ma col quale non voleva convivere.
Foto: Sonali Mukherjee, 27 anni, nella sua casa di New Delhi il 5 dicembre 2012. Sonali ha respinto le avances di tre compagni di studio che l’hanno attaccata al viso con l’acido (SAJJAD HUSSAIN/AFP/Getty Images).