Tre aggiornamenti sul caso Shalabayeva
Il nome da nubile Alma Ayan è falso (il passaporto su cui era riportato forse no) e 8 banche italiane sono coinvolte in una presunta truffa del marito, Ablyazov
Negli ultimi due giorni ci sono stati nuovi sviluppi nel caso dell’espulsione dall’Italia ad Alma Shalabayeva e della figlia Alua, 6 anni, rispettivamente moglie e figlia dell’oppositore politico kazako Mukhtar Ablyazov. Tra le altre cose si è scoperto che il nome da nubile è Alma Shalabayeva, quello da sposata Alma Ablyazova e che il nome Alma Ayan in realtà è falso, ma il passaporto centrafricano della donna potrebbe essere autentico (ma c’è tutta una storia di falsificazione di passaporti per cui in Kazakistan sono perseguiti Alma Shalabayeva e altri familiari suoi e di Ablyazov).
Il 30 maggio l’ambasciata della Repubblicana Centrafricana in Svizzera ha infatti confermato che Shalabayeva è titolare di un passaporto diplomatico ed è cittadina centroafricana. Il 21 giugno la conferma è arrivata anche dal ministro degli Esteri centroafricano – e come ha spiegato l’avvocato di Shalabayeva, Riccardo Olivo, il nome Ayan è stato usato per garantire la sicurezza della donna.
Alle precarie e poco convincenti spiegazioni del governo di Enrico Letta si aggiunge la difficile condizione della donna, che si trova ora agli arresti domiciliari di Almaty, la città più grande del Kazakistan. Il primo ministro kazako Seriz Akhmetov ha spiegato al Corriere della Sera che Alma Shalabayeva è accusata di aver pagato delle tangenti a funzionari del servizio di migrazione e di giustizia della regione di Atyrau per il rilascio illegale di passaporti.
Esiste la possibilità che Alma Shalabayeva e la figlia tornino in Italia?
Nei giorni scorsi il Corriere della Sera ha fatto alcune domande al primo ministro del Kazakistan, Seriz Akhmetov, per chiarire la posizione del governo kazako sul futuro di Alma Shalabayeva e della figlia Alua. Il 12 luglio scorso il governo italiano ha ritirato il provvedimento di espulsione alla moglie e figlia di Ablyazov e ha chiesto al governo di Astana di permettere il ritorno in Italia delle due cittadine kazake. Akhmetov ha risposto:
«Dal punto di vista legale, la possibilità di un ritorno di Alma Shalabayeva e di sua figlia in Italia non si esclude. Per questo la signora deve rivolgersi agli organismi competenti kazaki con la richiesta di consentirle la libertà di circolazione anche all’estero, dietro cauzione. In questo caso alla Repubblica del Kazakistan occorreranno garanzie da Roma. [Ovvero] che in futuro la signora si presenti davanti a un ente di persecuzione penale del Kazakistan qualora ce ne fosse bisogno».
Akhmetov ha proseguito dicendo cose molto discutibili, e che negli ultimi giorni si sono rivelate non vere: ha detto che il governo kazako si è rivolto all’Interpol per fermare solo Ablyazov e nessun altro suo familiare – cosa smentita dalla seconda nota trasmessa dall’Interpol kazaka alla Direzione Centrale della Polizia Criminale il 30 maggio. Akhmetov ha detto anche che le decisioni riguardanti le azioni di polizia nella villa di Casal Palocco sono state prese in autonomia dalle autorità italiane, ma anche questo fatto è stato smentito dalle ricostruzioni dei due incontri che l’ambasciatore kazako in Italia Andrian Yelemessov ha avuto con il capo di gabinetto Giuseppe Procaccini, rispettivamente il 28 e il 29 maggio.
La “guerra delle banche” di cui scrive Fiorenza Sarzanini
Sarzanini spiega sul Corriere che in tutta la vicenda legata ai reati compiuti da Ablyazov sono coinvolte anche delle banche italiane. Ablyazov è stato condannato a 22 mesi di carcere da un tribunale di Londra per oltraggio alla corte e per avere mentito sulle sue ricchezze. La sentenza è legata a una presunta truffa da 10 miliardi di dollari risalente al periodo in cui Ablyazov era presidente della banca kazaka BTA: tra i creditori, dicono i documenti del tribunale britannico, ci sono anche otto istituti di credito italiani – Unicredito italiano, Banca Popolare di Vicenza, Monte dei Paschi di Siena, Mediobanca, Banca Agricola Mantovana, Banca Nazionale del Lavoro, Banca Antonveneta, Banca UBAE.
Non è ancora chiaro se il coinvolgimento delle banche italiane possa avere influenzato le mosse del governo kazako o quelle del ministero degli Interni nel caso dell’espulsione di Shalabayeva. Dai documenti del tribunale di Londra risulta comunque che le proprietà di Ablyazov hanno un valore tra i 41 e i 46 milioni di sterline, ed è quindi possibile, scrive Sarzanini, che ci siano molti interessati a mettere le mani sul suo patrimonio.
La confusione nei ministeri italiani
Una delle cose che ancora non sono state spiegate del caso Shalabayeva è il motivo per cui il 28 maggio l’ambasciatore kazako si sia rivolto al ministero dell’Interno invece che al ministero degli Esteri. Andrian Yelemessov ha chiamato per tre volte il ministro degli Interni Angelino Alfano, senza ricevere risposta, prima di essere ricevuto in Questura dal suo capo di gabinetto Procaccini. Su questo punto, dalle informazioni disponibili fino ad ora, non è possibile fornire alcuna spiegazione convincente.
Quello che si sa, a partire da una cronologia interna riservata preparata dagli uffici del ministero degli Esteri e dalle dichiarazioni di alcune altre fonti consultate dal Post, è che il ministro Emma Bonino è stata informata dell’espulsione di Shalabayeva e della figlia solo il 31 maggio, due ore dopo la loro partenza per Astana. L’unico contatto precedente con il ministero degli Esteri risale al 29 maggio, quando lo stesso ministero risponde a una richiesta della questura di Roma che Shalabayeva “non gode dello status diplomatico-consolare nella Repubblica Italiana”. Dai primi giorni di giugno è iniziata al ministero degli Esteri un’attività molto intensa e frenetica del ministro Bonino per ricostruire i fatti successi dal 28 al 31 maggio scorsi: dal 3 giugno anche il presidente del Consiglio Enrico Letta si è occupato della vicenda, specie attraverso il consigliere diplomatico Armando Varricchio e il sottosegretario Patroni Griffi.
Per il momento le giustificazioni fornite da Angelino Alfano non sembrano convincenti. La sua linea di difesa, sintetizzabile nel “non ne sono stato informato”, è stata ampiamente smentita negli ultimi giorni. Emma Bonino deve ancora raccontare pubblicamente la sua versione dei fatti, e le ricostruzioni successive del suo ministero: lo farà mercoledì alle 15.30 di fronte alla Commissione Diritti Umani del Senato.
foto: Franco Origlia/Getty Images