Cosa faceva Emma Bonino, intanto

Una ricostruzione riservata del ministero degli Esteri elenca i tentativi di ottenere informazioni e risposte sul caso Shalabayeva

Foto Mauro Scrobogna /LaPresse
19-07-2013 Roma
Politica
Senato - mozione sfiducia Alfano
Nella foto: Angelino Alfano, Enrico Letta, Emma Bonino
Photo Mauro Scrobogna /LaPresse
19-07-2013 Rome
Politics
Senate - motion of no confidence in the Minister Alfano
In the picture: Angelino Alfano, Enrico Letta, Emma Bonino
Foto Mauro Scrobogna /LaPresse 19-07-2013 Roma Politica Senato - mozione sfiducia Alfano Nella foto: Angelino Alfano, Enrico Letta, Emma Bonino Photo Mauro Scrobogna /LaPresse 19-07-2013 Rome Politics Senate - motion of no confidence in the Minister Alfano In the picture: Angelino Alfano, Enrico Letta, Emma Bonino

L’espulsione dall’Italia della cittadina kazaka Alma Shalabayeva ha generato una goffa dichiarazione di ignoranza da parte del ministro dell’Interno Alfano, che molti ritengono debba obbligarlo alle dimissioni; ha generato l’uso di termini come “imbarazzo e discredito” sia da parte del presidente del Consiglio Letta che del presidente della Repubblica Napolitano, che ci ha aggiunto “vicenda dolorosa” e “inaudita”; e ha generato addirittura l’annullamento del provvedimento stesso di espulsione da parte del governo. La reazione che manca a questa serie – soddisfacenti o no che siano – è più volte sembrata essere quella del ministro degli Esteri, che nei giorni scorsi è stato spesso chiamato a dare una propria versione dell’accaduto, ma che ha ritenuto invece finora di non unirsi alle indignazioni postume: scelta criticata da alcuni, apprezzata da altri, poco capita anche tra chi stima il ministro Bonino e la sua decennale attenzione alle violazioni dei diritti umani.

Emma Bonino ha risposto alle richieste dei giornali di questi giorni dicendo che le sue spiegazioni un ministro le deve al Parlamento, ed è in Parlamento che le darà, nel corso dell’audizione in Commissione per i Diritti umani del Senato fissata per mercoledì 24. Ma la versione del ministero degli Esteri sul proprio coinvolgimento nelle comunicazioni e nelle scelte, e sui propri movimenti per acquisire informazioni, si può già in buona parte ricostruire a partire da una cronologia interna riservata preparata dagli uffici del ministero e dalle dichiarazioni di alcune altre fonti consultate dal Post, da cui si capisce che la maggior parte delle notizie raccolte nel primo mese dal ministro Bonino sono arrivate da suoi contatti con le organizzazioni dei diritti umani, con altre fonti non istituzionali e con gli avvocati di Alma Shalabayeva, mentre i suoi colleghi di governo sarebbero stati piuttosto reticenti. L’impressione è anche che la giovinezza dell’incarico al ministero di Emma Bonino (e la sua apparente precarietà) non le abbia permesso – in una struttura organizzata in consolidate ramificazioni e distribuzioni di potere, e passata attraverso le precedenti gestioni Frattini e Terzi – di intervenire con la forza, i mezzi e l’autorevolezza di un ministro degli Esteri.

La prima data di questa cronologia è quella del 29 maggio, quando il ministero degli Esteri risponde a una richiesta della questura di Roma che la signora Shalabayeva “non gode dello status diplomatico-consolare nella Repubblica Italiana”. Nei due giorni successivi capita quello che sappiamo oggi ma che in quelle 48 ore non conosce quasi nessuno e non conosce nemmeno il ministero degli Esteri: l’irruzione della polizia nella casa di Casal Palocco, il trasferimento di Alma Shalabayeva nel CIE, la seconda perquisizione, l’espulsione di Shalabayeva e sua figlia con un volo organizzato dalle autorità kazake che la porta ad Astana.

La sera del 31 maggio il ministro Bonino viene informata con una telefonata da una sua fonte del fatto che Alma Shalabayeva e sua figlia sono state imbarcate due ore prima a Ciampino su un volo diretto in Kazakistan. Il giorno dopo il ministero ne riceve nuove conferme, anche dai consiglieri diplomatici presso Interni e Giustizia, e dall’ambasciata di Astana. Il ministero della Giustizia riferisce che tutto è avvenuto in totale correttezza e legittimità. Lo stesso ministro dell’Interno Alfano è invece interpellato da Emma Bonino il 2 giugno, alla parata della festa della Repubblica, alla presenza del Consigliere Diplomatico della Presidenza del Consiglio Armando Varricchio. Alfano le risponde di non essere al corrente della storia (il consigliere Varricchio ha fatto sapere al Post di aver riferito il contenuto del colloquio al presidente Letta e di non volerne parlare con i media).

In questo e nei successivi confronti con il ministro Bonino, spiega una fonte del ministero degli Esteri, il ministro Alfano sembra sottovalutare il rilievo della decisione presa nei confronti di Alma Shalabayeva e di diffidare delle insistenze di Bonino, forse a motivo della fama di assidua peroratrice delle cause dei diritti umani di Bonino stessa.

Nei giorni successivi richieste di chiarimenti arrivano al ministero degli Esteri anche da parte del presidente della Commissione Europea Barroso, che è stato in Kazakistan e ha avuto notizia di quanto è accaduto da alcune ONG. Ma il ministero degli Interni e il capo della polizia confermano al ministero degli Esteri che tutto è avvenuto regolarmente. E anche dal ministero della Giustizia negano che Shalabayeva abbia manifestato richieste di asilo politico o simili – come invece sosterranno i suoi avvocati. Garanzie su un trattamento rispettoso dei diritti di Shalabayeva arrivano intanto al ministero il 4 giugno dall’ambasciata kazaka a Roma. Il 5 giugno dalla presidenza del Consiglio si fa sapere agli Esteri che Enrico Letta ha discusso del caso con Alfano la sera prima. Il ministero degli Esteri torna a chiedere nel frattempo agli Interni risposte sulla legittimità e accortezza delle scelte prese e non solo sulla successione degli eventi. Il 7 giugno Bonino chiede informazioni a Letta, alla presenza di Varricchhio e del proprio capo di Gabinetto Benassi. Intanto anche il Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU domanda spiegazioni al ministero degli Esteri, richiesta che questo gira alla Presidenza del Consiglio, e intanto chiede all’ambasciata italiana ad Astana di ottenere notizie sulle condizioni di Shalabayeva e di sua figlia.

Il 13 giugno al ministero degli Esteri vengono ricevuti gli avvocati di Alma Shalabayeva, che riferiscono che nei due giorni dell’arresto Shalabayeva ha invano invocato la protezione internazionale e chiesto di presentare domanda di asilo politico. Il ministero degli Esteri provvede il giorno successivo a ottenere in Kazakistan – tramite l’ambasciata – la procura di Shalabayeva necessaria per le istanze legali. Il vicario dell’ambasciatore, dopo averla incontrata, riferisce che “era parsa in buone condizioni psico-fisiche e non aveva espresso nessun commento sulla vicenda”.
Il 20 giugno il ministro Bonino incontra il capo della polizia Pansa, gli chiede maggiori elementi e gli comunica le richieste dell’ONU.

Tra il 3 e il 4 luglio il ministro Bonino fa di nuovo ricevere al ministero gli avvocati della famiglia Ablyazov e viene informata da un suo contatto personale che il Financial Times sta preparando un nuovo articolo di denuncia di quanto è accaduto, a cui seguiranno quelli sulla stampa italiana che di fatto riapriranno pubblicamente il caso. L’8 e il 9 luglio Bonino fissa appuntamenti con gli avvocati della famiglia Ablyazov e con l’ONG che sta seguendo il caso in Kazakistan. Nei giorni successivi la questione assume infine un rilievo politico e pubblico notevole, e le richieste di spiegazioni al ministero degli Interni arriveranno con insistenza da molte altre parti.

Quello che questa ricostruzione non chiarisce ancora è: il ministero degli Esteri aveva informazioni sufficienti per intervenire politicamente in maniera più forte all’inizio di giugno, e aveva gli strumenti per farlo? Gli esaurienti articoli sulla figura di Ablyazov – assai più complessa della definizione di “pericoloso latitante” fornita dai kazaki – usciti già in quei primi giorni, e le informazioni sul suo conflitto politico con il presidente Nazarbayev estesamente presenti anche su Internet, erano noti almeno al ministero degli Esteri? E se sì – se no, c’è evidentemente un problema di competenza – la lealtà al governo e il rispetto dei canali istituzionali non sono stati eccessivi da parte del ministro Bonino, di fronte alle parziali ed elusive risposte ricevute? Non avrebbe dovuto farsi carico dei diritti delle vittime – evidenti in questa storia da subito – anche pubblicamente e rivendicando il proprio ruolo rispetto alle ingerenze indebite dell’ambasciata kazaka sul ministero degli Interni?

Queste domande sono tra quelle che la Commissione Diritti Umani del Senato dovrà fare al ministro Bonino mercoledì.