Andrea Antonelli, le moto e la pioggia
La morte del pilota italiano ha riaperto la discussione sull'opportunità di gareggiare con la pioggia e su chi deve prendere queste decisioni
di Massimiliano Cocchi – @M_Cocchi
Domenica 21 luglio, durante il gran premio di Russia del campionato del mondo di motociclismo nella categoria Supersport – stesso circuito del mondiale Superbike, cilindrata inferiore – è morto Andrea Antonelli, pilota italiano di 25 anni del team Kawasaki GoEleven.
La gara è iniziata quando sul circuito, nei pressi di Syčëvo (Volokolamskkij), a circa 80 km da Mosca, pioveva già molto ed è finita dopo soltanto un giro, quando nel rettilineo che precede l’ultima curva Antonelli è caduto ed è stato investito dalla moto di Lorenzo Zanetti. La morte di Antonelli oggi è sulle prime pagine di quasi tutti i giornali italiani, insieme alla discussione sull’opportunità di disputare il gran premio considerate le condizioni atmosferiche. Le immagini dell’incidente hanno ricordato a molti quello che successe a Marco Simoncelli, morto nell’ottobre del 2011 sul circuito di Sepang, in Malesia. Ma fra i due incidenti ci sono molte differenze.
Il motociclismo sportivo negli ultimi anni ha investito molto nella sicurezza: le moto sono diventate sempre più veloci ma anche più “gestibili” attraverso sistemi elettronici. Le protezioni per i piloti sono molto sofisticate, dai caschi per assorbire urti molto forti a tute con airbag per proteggere il pilota in caso di caduta. Persino l’asfalto delle piste dove si disputano le gare è sempre più sicuro, anche in caso di pioggia: le immagini di ieri della gara mostrano però una specie di “muro d’acqua”, nel circuito, ed è probabilmente questa circostanza ad aver determinato la morte di Antonelli.
L’investimento è di per sé l’unica variabile che non è eliminabile dai rischi del motociclismo, ma nella grandissima maggioranza dei casi i piloti che cadono scivolano sulla sabbia fuori dalla pista. Se invece dopo l’investimento il pilota rimane all’interno della carreggiata, non c’è protezione che tenga; e se quel pilota è dentro una nuvola d’acqua, è praticamente impossibile da evitare. Per questo motivo quello che è successo ad Antonelli è molto diverso sia dal caso di Simoncelli del 2011, ma anche da altri due famosi e recenti incidenti mortali del passato nel motociclismo sportivo, quelli di Shoya Tomizawa nel 2010 e di Creig Jones nel 2008.
Tomizawa nel 2010 e Jones nel 2008 furono investiti da piloti che li seguivano a pochi centimetri di distanza. Fra la caduta di Antonelli e l’impatto con Zanetti, invece, passano diversi secondi – almeno 3, più che sufficienti a un pilota per reagire – eppure non c’è stato niente da fare: Zanetti in quel momento non vedeva niente e come lui una quindicina di piloti che lo seguivano. Alessio Conti, giornalista inviato di Mediaset, ha detto che «Zanetti ha chiesto a noi giornalisti che cosa fosse successo, non si era reso conto di aver colpito il collega neanche dopo l’urto». Anche il medico della clinica mobile, che poi ha medicato Zanetti, ha detto che questo non si era accorto di cosa aveva investito.
Domenica sul circuito ha iniziato a piovere durante la gara della categoria Superbike, che si è corsa prima di quella Supersport. Il vincitore tra le Superbike, Marco Melandri, ha detto che finita la corsa aveva segnalato al suo team e ai commissari di gara la pericolosità della pista. Le moto sulla linea di partenza della Supersport erano 30, molte per una gara di motociclismo. In quelle condizioni la nuvola d’acqua sollevata dai primi a partire rende impossibile capire, per chi sta dietro, che cosa stia succedendo pochi metri più avanti; i primi giri, in cui le moto sono tutte vicine, sono i più pericolosi in qualsiasi condizione, figurarsi sotto un nubifragio.
Per questa ragione, secondo molti, per Andrea Antonelli non è il caso di usare la formula della “tragica fatalità”, come si è fatto con Simoncelli, Tomizawa e Jones: la gara non doveva iniziare. Questo ha riaperto la discussione su questo genere di decisioni, che non sono prese dai piloti bensì da un gruppo di commissari al vertice del quale sta il direttore di gara. Nel “Road Racing FIM Superbike and Supersport World Championship Cup Regulation” [pdf], cioè il regolamento della Superbike e della Supersport, si legge che all’inizio della corsa il direttore di gara decide se dichiarare la gara “dry” o “wet”, asciutta o bagnata, e che “una gara classificata come bagnata […] non sarà interrotta per le condizioni atmosferiche eccetto che per eventi straordinari: i piloti che desiderano cambiare gomme o fare modifiche devono entrare ai box e farlo a gara in corso”. I piloti non possono nemmeno rifiutarsi di partire, dato che i loro contratti con le squadre li impegnano a rispettare le decisioni della direzione di gara, ma in altre categorie sono coinvolti nelle decisioni sull’opportunità di correre tramite un ente terzo o con un comitato interno, riconosciuto dalla Federazione internazionale e contemplato dal regolamento.
Nella categoria MotoGP, la più famosa e importante del motociclismo mondiale, dal 2003 – dopo l’incidente mortale di Daijiro Kato a Suzuka, in Giappone – è stata istituita una commissione di sicurezza di cui fanno parte alcuni piloti in attività più gli ex piloti Franco Uncini (come ispettore dei circuiti) e Loris Capirossi (come rappresentante dei piloti). Insieme a loro ci sono Javier Alonso della Dorna, la società che organizza il campionato, e Michael Webb dell’IRTA, l’associazione che comprende tutte le squadre, i principali fornitori tecnici e gli sponsor. Webb è anche il direttore di gara. Tutti insieme formano la direzione di gara della MotoGP: l’organo che ha il potere di prendere decisioni durante la corsa.
Prima di ogni gran premio la commissione sicurezza si incontra e prende in considerazione proposte di modifica per migliorare la sicurezza del circuito. Le loro raccomandazioni possono includere la sostituzione dell’asfalto, l’allargamento delle vie di fuga, la modifica delle barriere e dei muri di gomme e altre misure addizionali. Nelle categorie Superbike e Supersport, invece, non esiste una “commissione sicurezza”: di fatto, i piloti non sono rappresentati negli organismi che decidono quando si può correre una gara. Secondo Marco Melandri, pilota italiano che corre in Superbike dopo aver gareggiato tanti anni in MotoGP, si tratta di una differenza determinante.
«È necessario che i piloti vengano ascoltati dalla direzione di gara. E’ da quando sono sbarcato in Superbike che chiedo l’attuazione di una safety commission che si riunisca in ogni gara come avviene in MotoGp e discuta in maniera seria e costruttiva della sicurezza. Purtroppo però non si sono mai fatti passi in avanti in questo senso e anzi io che continuo a battere su questo tasto vengo definito il classico rompiscatole»